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Arresti per mafia a Bari, gli affari del clan Parisi nel business del caffè: «Venduto in cambio di protezione»

Gli esponenti del clan Parisi avrebbero costretto bar e attività commerciali a vendere il caffè prodotto dalla malavita, spesso dopo averlo acquistato a nero.

È quanto emerso dalle indagini che hanno portato all’esecuzione di oltre 130 misure cautelari a Bari.

“Quello del caffè – si legge negli atti della Dda di Bari – si è dimostrato un settore idoneo ad attrarre gli investimenti del clan. Il prodotto finito, in particolare, permette, fornendolo ad un prezzo maggiorato, interessanti ricavi con bassi investimenti, motivo per il quale il settore è diventato di considerevole interesse per le organizzazioni criminali”.

Investendo il denaro sporco, infatti, il clan sarebbe riuscito a ricavare circa 10 euro per ogni chilo di caffè venduto.

“Le diverse realtà commerciali, pur pagando un prodotto di scarsa qualità a prezzi maggiorati rispetto al valore di mercato ottengono, in cambio, la protezione mafiosa delle attività e guadagni ampliati e sottratti all’imposizione fiscale”.

Riconducibili al clan, secondo gli inquirenti, sarebbero state le imprese Torregina Caffè, Raro srl e Caffè Sartoriale. La prima riconducibile a Tommaso “Tommy” Parisi (cantante neomelodico e figlio del boss “Savinuccio”) e Christopher Luigi Petrone, della seconda era “socio occulto” il fratello del boss, Massimo Parisi. Tutti e tre sono in carcere.

Quella del clan, rileva ancora il pm, è “una tecnica imprenditoriale caratterizzata da impliciti metodi estorsivi ed impositivi, che si pone nei confronti degli imprenditori come vicina alle attività commerciali, favorendone i profitti, e in grado di essere preferita alla legalità dello Stato”.

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