Home Attualità Bari, nessuno vuole più affittare: offerte giù di oltre il 10%

Bari, nessuno vuole più affittare: offerte giù di oltre il 10%

Trovare una casa in affitto a Bari è diventato impossibile. Per il quinto trimestre consecutivo, la disponibilità nel mercato immobiliare si è contratta del 13%. Un calo che impatta fortemente sulle famiglie, costrette alle coabitazioni o a vivere in case non idonee. Il motivo? «Troppi Bed and Breakfast – spiega Nicola Zambetti, segretario regionale del Sindacato nazionale unitario inquilini e assegnatari (Sunia) -in un territorio dove mancano chiari regolamenti».

Il crollo della disponibilità di case è documentato dalla piattaforma Idealista, leader nel mercato immobiliare online. Nel capoluogo pugliese, gli immobili in affitto sono calati del 13%. Una contrazione dell’offerta che trova riscontro anche nella provincia, dove, però, è più contenuta, fermandosi al 3%. Ciò che preoccupa di più gli esperti del settore è il fatto che il dato negativo si ripete, ormai, da più di un anno. «La riduzione del mercato degli affitti – spiega Zambetti – è determinata dallo spostamento degli interessi dei proprietari verso attività ricettive, come i B&b». Secondo il segretario di Sunia, dunque, il turismo rischia di essere una lama a doppio taglio, portando crescita nel settore di pertinenza ma con ricadute negative per tutti gli altri aspetti della vita cittadina. Come il commercio di vicinato. «Non basta aprire B&b – prosegue Zambetti -occorre soprattutto regolamentarli, cosa che, nella nostra zona, ancora non accade. Trasformare gli immobili, una volta destinati alle famiglie, in strutture ricettive, significa far morire il commercio di vicinato, che si nutre di clienti fidelizzati e non solo di turisti». D’altronde, la situazione si ripete uguale, se non più grave, anche in altre zone della regione, quelle a più spiccata vocazione turistica. Come accade tra Brindisi e Lecce, dove, l’offerta di case in affitto è calata, rispettivamente, del 32% e del 22%. «I B&b – osserva Zambetti – devono ritrovare la loro natura originaria, quella, cioè, di essere un reddito aggiuntivo, e non l’attività principale di imprenditori che affittano decine di case vuote ai visitatori». Secondo i dati forniti dal sindacato, infatti, nel capoluogo ci sarebbero ben 18mila alloggi non occupati, che potrebbero essere tranquillamente affittati alle famiglie. «Ma questo non accade – informa il segretario regionale di Sunia – anche perché la domanda non trova l’offerta e i canoni non sono sopportabili. Le famiglie optano, così, sempre di più per le formule di coabitaizone o per case non idonee. Questo provoca un boom di sfratti per morosità». Analoga la situazione anche in altre località del Paese. Ben 75 capoluoghi su 107 hanno registrato una riduzione dello stock, con punte dell’81% a Torino a Ferrare. Un dato che si inquadra con il calo generale dell’offerta del Paese, che ha tocca il -36% dell’ultimo trimestre del 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

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