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Finalmente Calcutta, il live del cantante di Latina apre il Locus Festival alla Fiera del Levante

Calcutta stasera a Bari per il Locus. E di rumore ne fa, eccome, il cantautore di Latina. Basti pensare che il concerto, inizialmente previsto sul palco della rotonda di via Paolo Pinto, è stato spostato in un grande spazio all’interno della Fiera del Levante. Questione di numeri, questione di dimensioni. L’appuntamento apre il grande festival musicale pugliese che si chiuderà alla vigilia di ferragosto a Locorotondo, Masseria Ferragnano, con un terzetto niente male: Meute, Cosmo e Samà Abdulhadi.

I numeri

Ma intanto c’è Calcutta, per cui sono attesi oltre quindici mila spettatori. Le statistiche dei biglietti venduti riportano dati stupefacenti: le fasce di età coinvolte variano dai diciassettenni agli ultra quarantenni, con centinaia di acquisti da città come Milano, Roma e Bologna, e dall’estero, principalmente Spagna, Francia, Regno Unito, ma anche dal Canada e Nuova Zelanda. L’artista targato Bomba Dischi ha saputo più di tutti sparigliare le carte del panorama musicale italiano a metà dello scorso decennio.

L’artista

Il suo secondo album “Mainstream” ha rappresentato un vero e proprio spartiacque per tutta la scena musicale che, partendo dai locali più piccoli della scena underground italiana, ha saputo conquistare palazzetti, stadi e le attenzioni di tutto il panorama artistico. Eppure, comunque lo si voglia interpretare, con questo giovane artista si rischia di sbagliare. Basti pensare a “Evergreen”, il suo terzo album. Una prova importante che, senza neanche il tempo sbattere le ciglia, gli ha fatto prendere sottobraccio il filone indie, nel quale tanto bene era calato, accompagnandolo di fatto nel pop.

Potrebbe eventualmente raccontare come ci si sente a passare dall’essere un perfetto sconosciuto che suona le sue canzoni sui palchi del Pigneto, a diventare l’emblema della nuova generazione della musica italiana. Potrebbe storcere il naso davanti agli integralisti della scena underground italiana, che in più occasioni lo hanno accusato di aver “ucciso l’indie music”, sfornando un dischi che strizzano l’occhi alla hit nello stile di “Cosa mi manchi a fare” e “Oroscopo”. E poi ecco “Evergreen”, l’album che non ti aspetti, eccolo “scartare di lato”, come direbbe De Gregori.

Se si provasse a scavare a fondo nelle sue canzoni, se si guardassero i dischi d’oro appesi nel bagno o la copertina che lo raffigura, sardonico, in mezzo alle pecore, si correrebbe il rischio di scervellarsi alla ricerca di chissà che messaggio nascosto, andando incontro a qualcosa che, probabilmente, non è. “Non c’è niente da capire” (ancora De Gregori, Francesco ci perdonerà), eppure sembra avere un suo mondo nascosto da raccontare Calcutta, quasi volesse suggerire al microfono una verità per pochi. Cappello calzato quasi fino al naso, camice un po’ dada un po’ kitsch, in equilibrio fortemente disorientante, quasi labirintico, ossimorico: il sarcasmo e il serio, l’intuizione promettente ma sregolata, il ragazzo apparentemente timido e scontroso nelle interviste e la popstar che posa per le copertine delle riviste.

Aneddoto: annunciò l’anno scorso tramite Instagram “Relax”, un concerto live, no stop, di otto ore nella elegante Villa Medici, a Roma. Gli spettatori sbirciavano la sua esibizione dalle porte di ingresso, sigillate mediante pannelli in legno. Il tutto sold out in poche ore, uno dei tanti della sua ancora breve carriera.

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