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«La Napoli-Bari? Esempio di come grandi progettualità possano partire dal basso». Parla Ennio Cascetta

«La metropolitana di Napoli è un’opera unica al mondo, con un’attenzione all’estetica rivoluzionaria per l’epoca, oggi data per scontata. E la Napoli-Bari è l’esempio di come le grandi progettualità possano partire dal basso». A spiegarlo è il professore e ingegnere Ennio Cascetta, ordinario di Infrastrutture e Sistemi di Trasporto, Estimo e Valutazione presso l’Universitas Mercatorum.

Docente presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge (USA) e autore di testi accademici in italiano e inglese, di numerosi volumi e di oltre 150 lavori pubblicati a livello internazionale, dal 1986 al 2021 è stato ordinario di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto presso l’Università Federico II di Napoli. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca internazionali. Dal 2000 al 2010 è stato assessore ai Trasporti della Regione Campania, contribuendo alla realizzazione del progetto di metropolitana regionale. Dal 2017 al 2022 è stato presidente di Metropolitana di Napoli S.p.A., oltre ad aver ricoperto in carriera diverse altre cariche. L’ultimo libro, “Diario di un viaggio nei trasporti e non solo. Progetti, politiche e protagonisti”, edito da Rubbettino, è un viaggio a ritroso nelle sue esperienze.

Professore, un diario sulla sua carriera da ingegnere dei trasporti. Come nasce e a chi si rivolge?

«Nasce con l’idea di raccontare le esperienze di tanti anni di carriera, avendo avuto la possibilità di svolgere diversi ruoli, con la volontà di offrire una riflessione non solo per addetti ai lavori, giovani, universitari, ma anche per chi si occupa di politica e amministrazione».

Come mai?

«Occuparsi di trasporti significa anche occuparsi un po’ di politica. È uno di quei settori talmente trasversali che inevitabilmente finisce per toccare le sfere dell’amministrazione. E in questi trent’anni ho attraversato diverse stagioni. Per cui è un saggio che si trasforma in memoir o un memoir che poi diventa un saggio».

Qual è l’opera che le è rimasta più nel cuore?

«La metropolitana di Napoli, a cui ho dedicato tantissimi anni. Mi è rimasta nel cuore perché è un privilegio fare qualcosa di importante per la propria città, oltre al legame affettivo. E poi perché è un’opera unica al mondo, grazie a intuizioni rivoluzionarie per l’epoca, come l’attenzione all’estetica, oggi data quasi per scontata. Il livello di qualità architettonico-artistica delle stazioni di Napoli per me è ancora ineguagliato».

Possiamo dire che ha aperto la strada al binomio funzionalità-bellezza?

«Si può dire e si può mostrare. Nel mondo ci sono alcune belle stazioni, come a San Pietroburgo, Mosca, Stoccolma. Ma sono singole stazioni, tutte con lo stesso stile. A Napoli inventammo la formula di far progettare ogni stazione a un diverso architetto di livello internazionale, portando anche l’architettura dall’interno all’esterno».

Cosa mette al secondo posto?

«La Napoli-Bari».

È la chiave per far ripartire il Sud?

«Ci ho creduto moltissimo sin dall’inizio, perché è l’esempio di come grandi progettualità possano partire dal basso. A livello nazionale, come racconto nel libro, quell’opera non era prioritaria, perché concentrati su altri progetti di alta velocità, che non andavano oltre gli assi Milano-Torino-Napoli e Salerno. Ma in Campania e Puglia eravamo convinti che fosse un’occasione imperdibile per il Mezzogiorno, a tal punto che le due Regioni finanziarono il progetto di fattibilità».

Un progetto che non ha avuto vita facile?

«All’inizio si era pensato a una linea che collegasse alla massima velocità Napoli e Bari, senza fermate intermedie. Ma il nostro studio dimostrò che ci sarebbe stata una domanda di trasporto non sufficiente a giustificare un tale investimento. Ma realizzandola con un tracciato meno diretto e con la possibilità di toccare le aree interne, si consentiva su quella linea anche il transito dell’alta velocità e di interregionali, regionali e treni merci. La somma dei traffici giustificava la realizzazione».

Così nacque il progetto?

«Ricordo che lo presentai all’allora presidente della Repubblica Napolitano, consapevole di come fosse una grande opportunità per il Sud. Lo convinsi con una battuta. Dissi: “Presidente, adesso la Milano-Napoli è quasi completata, ma ci vorrà meno per arrivare da Milano a Napoli che da Napoli a Bari”. Lo colpì molto, ne parlammo con Prodi e quel Governo incluse la linea tra i progetti da finanziare».

Poi si è andati avanti.

«Sì, tra passi avanti e indietro. Ho chiamato “sindrome di Penelope” questo modo di fare tutto italiano. Ricordo che all’epoca del Governo Monti ci fu una manifestazione all’esterno di Montecitorio di oltre cento parlamentari di centrodestra e centrosinistra, campani e pugliesi, per protestare contro il tentativo di de-finanziare la Napoli-Bari. Quando un progetto è capito e sostenuto dal territorio, ha una forza autonoma: io coniai l’espressione “Sì Tav”. Quindi l’opera riprese vita, così come era stata progettata, e oggi si sta completando».

Abbiamo parlato del binomio funzionalità-bellezza. E funzionalità-sostenibilità ambientale?

«È una sfida che non si può più rinviare, come dimostrano gli stringenti parametri europei. Abbiamo davanti a noi trent’anni in cui ci sarà da fare una rivoluzione».

Come?

«Non con un’unica soluzione. La ferrovia è fondamentale e utile, ma non basta. Non ha la forza di sostituire il trasporto su strada, perché così si muove l’80% delle merci. Anche la transizione verso l’elettrico è importantissima, ma ci vorranno decenni affinché possa sostituire il parco veicolare italiano. Su 40 milioni di automobili presenti in Italia, lo 0,3% è elettrico. Nonostante gli incentivi, oggi si comprano tre auto elettriche su cento. E poi c’è un dato regionale, legato al gradiente di reddito: si acquistano sette auto elettriche nuove in Trentino-Alto Adige e una in Calabria».

Un processo lunghissimo. Cosa fare nel frattempo?

«Sostenere, anche con aiuti pubblici, la diffusione dei bio-combustibili, che hanno origine vegetale, o di riciclo di materiale vegetale, con un impatto sull’ambiente vicino allo zero. E poi cambiare la cultura di come consumiamo la mobilità. Il coefficiente di riempimento medio dell’auto è di 1,2: in sostanza le auto si muovono solo con il conducente, ma si continuano a produrre auto sempre più grandi. Il miglior modo per essere attenti all’ambiente è risparmiare anche nell’uso quotidiano delle auto. Una guida ecologica consente di risparmiare il 15/20% delle emissioni, che equivale a milioni di auto elettriche».

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