Manchette
venerdì 18 Ottobre 2024
Manchette
- Inread Desktop -

La vita di Sergio Rubini non è solo film. Quel filo rosso che lo lega al padre

Talentuoso attore, sceneggiatore, scrittore e regista pugliese; incontriamo Sergio Rubini giovedì scorso, nell’Auditorium “Villaggio del Fanciullo” di Bari per la manifestazione tra musica e canti organizzata dall’Associazione di volontariato “Gabriel” a sostegno e umanizzazione delle cure oncologiche. Lui è in prima fila e il suo sguardo è un po’ malinconico e commosso; viene ricordato suo padre, Alberto, venuto a mancare di recente ed è proprio da qui che partiamo, da questo evento importante, un viaggio senza ritorno: Ci permetta subito di rivolgerle sentite condoglianze.

Quale il primo ricordo che le viene in mente? Un padre con una forte vena artistica e che per tutta vita, per lavoro, ha fatto il capostazione. Deduciamo che sia stato lui a trasmetterle la passione per la recitazione

«Avrebbe voluto di sicuro iscriversi al liceo artistico per diventare pittore, amava anche il cinema e il teatro, ma i miei nonni non furono d’accordo e lo indussero a frequentare il liceo classico. Non si laureò e verso i 21 anni cominciò, senza entusiasmo, a lavorare in ferrovia, come mio nonno, capostazione anche lui».

E lei invece, nella Grumo Appula di quegli anni, come è riuscito a rompere questa tradizione di famiglia?

«Proprio grazie a mio padre e le spiego il perché. Frequentavo il liceo scientifico ma dato che nel mio paese c’erano solo le scuole elementari e medie ero costretto ogni giorno a salire su di un treno, quello per Altamura. Così spesso vedevo mio padre nel suo ufficio, indaffarato tra telefonate, carte, registri vari dove segnare arrivi e partenze dei treni, biglietti e abbonamenti e così via. In quell’ufficio però non mi ha mai invitato ad entrare e non si è mai nemmeno fermato per parlarmi. Un comportamento anomalo. Mi ha sempre salutato da lontano, quasi con distacco e solo anni dopo, quando la mia carriera era avviata, mi ha spiegato il motivo. Non voleva che anche io percorressi le stesse sue orme e mi ritrovassi in quell’ufficio, annullando i sogni che avevo nel cassetto».

Una bella testimonianza d’amore e lei di sogni invece ne ha realizzati tanti, da quando nel 1978 decise di trasferirsi a Roma per inseguire i suoi desideri. Il cinema è stata la sua vita, piena di successi e riconoscimenti. Uno su tutti il film “La stazione” del ‘90 e che evidenzia quel filo rosso famigliare così forte. Per quella pellicola, nel ‘91, ha ricevuto il premio come miglior regista esordiente al “Nastri d’Argento”. Quale figura è stata determinate per la sua crescita artistica?

«Il grande Federico Fellini. Mio mentore, un faro, una delle persone più libere e geniali del secolo scorso. Generoso e ironico ma soprattutto umile. Il suo punto di arrivo erano la normalità e la semplicità, non il successo».

È doveroso ricordare che il maestro del cinema mondiale di tutti i tempi la impose alla critica con “Intervista”, il film del 1987 dove lei, Sergio, rappresentava proprio il Fellini giovane. Come è stato lavorare con lui?

«È stata per me una lezione non solo di cinema ma di vita. Aveva il gusto per la leggerezza. I ricordi di quel periodo fanno parte della mia vita, sono vivi e palpitano dentro di me».

Torniamo ad oggi e tra i moltissimi film con la sua regia, ne citiamo solo alcuni come “La bionda” del ‘93, “Prestazione straordinaria” del ‘94 e ancora “Il viaggio della sposa” del ‘97, “Tutto l’amore che c’è” del 2000, “Colpo d’occhio” del 2008 e “I fratelli De Filippo” del 2021.

È di questi giorni “Felicità” scritto, diretto e interpretato da Micaela Ramazzotti e dove lei interpreta Bruno, il compagno della protagonista, un professore universitario narcisista e che la fa sentire spesso inadeguata. Una nuova sfida, il film è stato premiato al “Festival di Venezia” con un rilevante successo al Box Office.

Sergio Rubini, durante il suo intervento alla manifestazione “Gabriel” presentata da Paola De Marzo e Antonella Daloiso, ha letto un brano del celebre cantautore di canzoni popolari da lui molto amato, Matteo Salvatore, nato ad Apricena nel 1925 e morto a Foggia nel 2005. Una storia che parla di povertà e che evidenzia con amarezza l’ingratitudine e l’incapacità delle persone abbienti di accogliere le persone sfortunate. Un racconto a conferma della sua umanità e sensibilità verso il prossimo.

Il momento più emozionante della serata per la presentazione del “calendario Gabriel 2024”?

«Quando un amico del padre di Sergio ha soffiato su di un fischietto; un ultimo saluto per quel capostazione calabrese, pittore, sognatore e colto e che è salito su quel treno che non tornerà più indietro».

- Inread Desktop -
- Inread Desktop -
- Inread Desktop -
- Taboola -
- Inread Mobile -
- Halfpage Desktop -
- Halfpage Mobile -

Altri articoli