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Punta Perotti, la Giunta comunale ricorre in Cassazione: «Niente risarcimento alla Sud Fondi»

Il Comune di Bari non intende risarcire la Sud Fondi srl per il danno patrimoniale subito a seguito dell’abbattimento dei palazzi di Punta Perotti e “le condotte illegittime relative al piano dei lottizzazione dei suoli sul lungomare sud di Bari”. E dà mandato a tre legali di presentare ricorso in Cassazione, chiedendo la sospensiva del provvedimento di secondo grado.

La decisione è stata adottata ieri dalla Giunta, che ha incaricato gli avvocati Giorgio Costantino, Nino Sebastiano Matassa, Eugenio Mangone, “per ragioni di continuità difensiva”, con un onorario complessivo di oltre 100 mila euro. Sono gli stessi professionisti che hanno già rappresentato l’Ente nei primi due gradi di merito.

A settembre scorso, i giudici della Corte d’appello di Bari avevano condannato il Comune di Bari, la Regione Puglia e il ministero per i Beni culturali a risarcire con 8,5 milioni di euro, oltre agli interessi e alle rivalutazioni monetarie dal 2001 ad allora, la Sudfondi srl (ora in liquidazione). La decisione aveva ribaltato la sentenza di primo grado del 2014 del Tribunale di Bari, accogliendo le domande della Sudfondi srl difesa dai professori Vincenzo Vito Chionna e Michele Lobuono, con l’assistenza tecnica del dottor Ignazio Pellecchia e del professor Pierluigi Morano. La sentenza, contenuta in 234 pagine, era arrivata dopo un anno e mezzo da quando i giudici civili si erano riservati la decisione.

La vicenda ha inizio nel 1995, quando partirono i lavori della lottizzazione che poi fu ritenuta abusiva, ma gli imprenditori furono tutti assolti (nel 2001) perché avevano ottenuto una regolare autorizzazione edilizia. I palazzi furono comunque confiscati e demoliti nel 2006. L’illegittimità della confisca era già stata dichiarata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha riconosciuto un risarcimento complessivo di 49 milioni di euro (37 alla sola Sud Fondi), già liquidati, per il mancato godimento dei suoli negli anni della confisca, dal 2001 al 2010.

La sentenza di secondo grado, dunque, aveva riconosciuto che il risarcimento stabilito dalla Cedu non copriva tutti i danni, riguardando unicamente la illegittimità della confisca e non l’accertamento della responsabilità delle amministrazioni che avevano rilasciato concessioni e autorizzazioni, disponendo un altro ristoro per le spese sostenute per progettazione, pubblicità, Ici e oneri di urbanizzazione, gli oneri finanziari e parte dei costi di esecuzione dei lavori.

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