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Export, boom della Puglia: Bari copre il 30% del settore e spicca nell’ambito dell’high tech

La Puglia è una regione resiliente: nel biennio 2019-2021, con la pandemia in corso, il Pil pro-capite è quello che ha registrato la crescita più marcata sia a livello nazionale che rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno (seppure ancora di poco superiore a quella media dell’Unione europea): il 3,6% rispetto al 2,3 della media nazionale. Sono i dati che emergono dal rapporto sulla competitività dei settori produttivi edizione 2023, curato ed edito dall’Istat, presentato ieri nell’aula Leogrande del Centro Polifunzionale Studenti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Scendendo nel dettaglio dei dati sulle importazioni e le esportazioni nel sistema locale del lavoro, il rapporto sottolinea che, anche se circa un terzo dei beni italiani venduti all’estero sono stati realizzati in dieci sistemi locali (oltre a Milano): Torino, Bergamo, Brescia, Roma, Firenze, Bologna, Arezzo, Busto Arsizio, Padova, Sassuolo, alcune realtà del Mezzogiorno (Cagliari, Termoli, Augusta, Melfi, Bari e Taranto) hanno presentato dei livelli di esportazione, in valore, paragonabili a quelli di settori rilevanti del Centro-nord. Le esportazioni di Bari, ad esempio, sono paragonabili, tra gli altri, a quelle di Novara, Imola, Ravenna, Genova.

Nel Mezzogiorno, tuttavia, si rileva un tessuto più rarefatto di sistemi di lavoro locali che sono esportatori, e questo fattore limita la propagazione territoriale dell’internazionalizzazione commerciale, incidendo sull’ammontare di export complessivo della regione di riferimento. Si configurano quindi due modelli di sistemi locali esportatori: quelli con una forte concentrazione in pochi sistemi, caratterizzati da una diffusione ampia (il modello Veneto-Marchigiano-Romagnolo) e quelli in cui vi sono molte realtà che esportano tanto. La Puglia appartiene alla prima tipologia.

La realtà più forte resta in ogni caso quella di Bari, composta da 20 comuni in totale e con una quota di popolazione regionale pari al 18% dei 4 milioni di Pugliesi, che genera da sola il 31,5% dell’export totale regionale, seguito da quelle di Taranto (11,7%), Brindisi (9,6%), Foggia (8,0%) e Barletta (7,4%). Questi 5 sistemi di lavoro locale, insieme, rappresentano dunque poco meno del 70% dell’export regionale. Scendendo nel dettaglio, sul piano dei settori interessati, le esportazioni di Barletta riguardano sostanzialmente i settori del made in Italy tradizionale (tra gli altri abbigliamento, calzature e settore agroalimentare) e hanno come principale mercato di sbocco l’Albania; le esportazioni del barese, invece, si realizzano principalmente all’interno di alcuni settori high-tech (in primis la farmaceutica e la meccanica) e sono dirette principalmente verso nazioni come la Svizzera e la Germania. Taranto esporta principalmente verso gli Stati Uniti prodotti metallurgici, mentre Foggia e Brindisi esportano rispettivamente macchinari in Giappone e coke e prodotti raffinati in Belgio.

In un’ottica più estesa di partecipazione ai mercati internazionali, il rapporto dell’Istat mostra come i sistemi locali del lavoro esportatori siano riusciti a inserirsi pienamente nelle catene globali del valore (in gergo tecnico i Gvc- Global Value Chains).

Al riguardo, anche in questo caso, la quasi totalità dell’export nel barese è generato da imprese afferenti a catene globali del valore. Anche considerando i primi 5 sistemi (Bari, Taranto, Brindisi, Foggia, Barletta), la quota di export complessivo generato da imprese nelle Gvc si attesta intorno all’82% del totale. L’essere inseriti questo sistema complessivo ha amplificato le oscillazioni dell’export pugliese a cavallo della crisi pandemica: nei sistemi locali nei quali l’export è variato in misura maggiore, quasi sempre la dinamica delle imprese coinvolte in Gvc è risultata più ampia di quella delle imprese non inserite nelle catene globali del valore.

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