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domenica 1 Settembre 2024
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Fallimenti pilotati e riciclaggio: sequestrati oltre 32 milioni di euro. Perquisizioni anche in Puglia

Perquisizioni anche in Puglia, nelle province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Bologna, che consentito di sgominare un sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari, con il conseguente riciclaggio dei proventi illeciti anche tramite cittadini di origine cinese.

I militari del comando provinciale della Guardia di finanza del capoluogo emiliano hanno eseguito il sequestro preventivo di beni per oltre 32 milioni di euro e 25 misure cautelari, tra cui 15 arresti. Sono 32, in tutto, le persone denunciate.

Oltre che nella Bat e nel Foggiano, perquisizioni sono state eseguite in tutta Italia e precisamente nelle province di Ancona, Arezzo, Bologna, Brescia, Crotone, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia e Verona.

Gli accertamenti, a cura del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna su delega del sostituto procuratore Dda Roberto Ceroni, hanno permesso di ricostruire come la il gruppo criminale, noto come banda del buco e composto da bancarottieri seriali, fosse deputata alla continua acquisizione di società in crisi, ma dotate di apprezzabili asset, da depredare e condurre al fallimento.

Le indagini hanno consentito di appurare che l’organizzazione, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese, composto da una holding e altre tre Srl sottoposte al suo controllo, operante nei settori della dermo-cosmesi e della grande distribuzione organizzata (con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), abbia effettuato vere e proprie operazioni di sciacallaggio ai danni delle persone giuridiche, cagionandone dolosamente il dissesto.

Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili all’associazione pregiudicando, peraltro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi. La conduzione illecita della catena di supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto e somministrato attraverso società di ”comodo” che hanno compensato i relativi contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.

Gli ingenti proventi illecitamente accumulati sono stati reinvestiti in nuove iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio nel parmense, oppure trasferiti a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari. Tra queste spiccano tre cartiere, con sede formale a Milano, amministrate da soggetti di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, nonché ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.

Dagli accertamenti è emerso che i soggetti sinici erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti, derivanti da reati fallimentari e fiscali, attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i presìdi antiriciclaggio e consistente in meccanismi ”triangolari” di compensazione informale del denaro movimentato che ricalcano l’operatività della c.d. ”Chinese underground bank”.

In sostanza, le risorse finanziarie, riconducibili a operazioni commerciali fittizie, una volta accreditate venivano immediatamente trasferite in Cina, con contestuale retrocessione agli imprenditori italiani del contante di dubbia provenienza per un importo equivalente, al fine di monetizzare l’evasione fiscale ovvero distrarre risorse finanziarie dalle società.

Trait d’union tra i membri della consorteria e i citati soggetti asiatici, sono risultati essere due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati anche in un florido ”giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna.

A testimonianza dell’estrema pericolosità e pervicacia criminale del sodalizio, i militari operanti hanno ricostruito come lo stesso, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica sita nel tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovra-indebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere saccheggiata.

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