Home News “L’Italia che lavora”. Meno figli, più povertà: politici, è tempo di agire

“L’Italia che lavora”. Meno figli, più povertà: politici, è tempo di agire

L’allarme lanciato dalla fondazione “Giuseppe Di Vittorio” è di quelli che fanno tremare i polsi: tra vent’anni il bacino di potenziali lavoratori subirà una netta riduzione, pari a sei milioni e 800mila persone, mentre aumenterà di tre milioni e 800mila individui la popolazione non in età da lavoro, cioè quella con meno di 15 o più di 64 anni. Vuol dire che l’Italia invecchia e che le conseguenze di questa tendenza sul mercato del lavoro non tarderanno a farsi sentire e risulteranno probabilmente devastanti per la tenuta socio-economica del Paese, a cominciare dal Sud.

La crisi demografica, infatti, incide anche sul tasso di occupazione complessivo che già pone l’Italia agli ultimi posti in Europa. Senza dimenticare che, nell’ambito di questo divario, tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile c’è un gap di 17 punti. Ciò significa, come ha spiegato il vicepresidente del Consiglio scientifico dell’istituto Bachelet Lorenzo Caselli, che per allineare l’Italia a Francia e Germania bisognerebbe creare due o tre milioni di posti di lavoro in più e destinarli in massima parte proprio alle donne. In altre parole, le donne dovrebbero lavorare di più e fare più figli. Ma è difficile contrastare la crisi demografica e la desertificazione del mercato del lavoro in un Paese in cui l’età media delle donne al primo figlio tocca i 32 anni, il tasso di fecondità si riduce a 1,34 figli per donna, il lavoro femminile è spesso frammentario e mal pagato rispetto a quello maschile e il fisco non è amico della famiglia.
Come se ne esce? Innanzitutto migliorando le condizioni di lavoro complessive. Bisogna agire sui salari, meglio se attraverso una netta riduzione del cuneo fiscale che è uno strumento capace di alleggerire le imprese, ridurre le disuguaglianze sociali e rivitalizzare il mercato del lavoro. Altro tema è quello dell’orario che potrebbe essere “spalmato” su quattro giorni a settimana, come avviene da tempo in diversi Paesi d’Europa e del mondo, in modo tale da incrementare la produttività dei lavoratori garantendo loro più tempo libero e migliori condizioni di vita. E non bisogna dimenticare, ovviamente, la sicurezza sul lavoro per la quale servono massicci investimenti in termini non solo di controlli, ma soprattutto di formazione. Altrettanto importanti sono politiche che consentano di conciliare vita familiare e professionale. La settimana lavorativa corta sarebbe un passo in questa direzione, ma risulterebbe insufficiente se non accompagnata da servizi concreti come quegli asili nido che scarseggiano soprattutto nel Sud. Più in generale, occorre far emergere nuove attività, nuove possibilità di impegno lavorativo, specialmente nell’ambito dei servizi alla persona e alla collettività, stravolgendo in positivo il rapporto tra tempi e luoghi di lavoro e di vita.

C’è da augurarsi che questi temi entrino nella prossima campagna elettorale e che intorno a essi si sviluppi un dibattito serio e propositivo. Ma è ancora più importante che crisi demografica e flessione del mercato del lavoro siano in cima all’agenda del prossimo governo che dovrà mettere in campo misure strutturali per arginare i due fenomeni. Lo scenario disegnato dalla fondazione “Di Vittorio” è quello di una progressiva desertificazione del mercato del lavoro che l’Italia, in particolare il Mezzogiorno, non può proprio permettersi. Bisogna agire, finché si è in tempo, per scongiurare un futuro fatto di povertà, disuguaglianze ed emarginazione.

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