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domenica 15 Settembre 2024
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Luisa Torsi: «Per le donne è difficile essere riconosciute leader»

Quando una donna raggiunge obiettivi davvero rilevanti si ha quasi sempre il desiderio di sapere di più sulla sua vita professionale e privata. Un modo come un altro per capire se ci siano forse delle formule vincenti da prendere ad esempio. Soprattutto per le nuove generazioni. Luisa Torsi, barese, classe ‘64, chimica e accademica, ricercatrice nel campo della diagnostica medica all’Università di Bari, nelle scorse settimane ha ricevuto a Vienna uno dei premi più ambiti nel mondo scientifico, la “Wilhelm Exne Medal” per il suo “Single molecule digital essay”, un sistema bioelettronico capace in breve tempo di rilevare un virus o marcatore proteico da un campione di sangue o di saliva. In sintesi: un dispositivo per diagnosticare precocemente una malattia. Una medaglia questa chenel corso degli anni è stata assegnata anche a ben 23 premi Nobel.

Oltre alla passione per la materia, grande studio e competenza cosa l’ha portata fin qui?

«Genitori esigenti direi. Ho avuto un’infanzia nella norma ma mi è stato inculcato da subito un forte senso del dovere. Soprattutto da mia madre, figura forte e determinata. Siamo tre sorelle, io, Elena che è quasi mia coetanea e Silvia, di sette anni più giovane. La grande è una commercialista e la più piccola ha un dottorato in Scienza della Comunicazione. Siamo state responsabilizzate da subito. Le regole rigide valevano in casa ma anche fuori dal nucleo familiare, in una attenzione costante nei confronti degli altri. Questo insegnamento mi ha formata molto, ha predisposto me e le mie sorelle ad una cultura verso il prossimo; attenzioni nei confronti degli altri».

Una squadra al femminile che poi si è ripresentata anche nell’ambito lavorativo?

«Si. Mi ha sempre reso felice lavorare in sinergia con altre donne. Si condividono battaglie e speranze, sul filo del rispetto e della comprensione».

Un esempio?

«Con molto piacere. Proprio in occasione del prestigioso riconoscimento a Vienna, ho conosciuto finalmente di persona Katalin Karicò, la biochimica ungherese premiata anche lei per una invenzione formidabile riguardo al vaccino a base di mRna. Posso affermare che sia sta stata lei a dare un contributo fondamentale per portarci fuori dalla pandemia. Questo vaccino è stato testato in brevissimo tempo e la stessa produzione su larga scala è stata facilitata dal questa nuova tecnologia. Con lei è stato un incontro che ha fatto la differenza, condivisione di intenti e progetti».

Si riferisce a quella sinergia tra donne di cui parlava poc’anzi?

«Una frase su tutte: sorridendo mi ha detto “è come se ci conoscessimo da sempre”. Perché? Perché per le donne è sempre più faticoso farsi riconoscere come leader. Osteggiata sul lavoro per anni, ha dovuto lottare per farsi capire. La sua era un’idea innovativa. E’ stata costretta anche a trasferirsi negli Stati Uniti con la sua famiglia per portare avanti ciò di cui era convinta. Un percorso tortuoso il suo, sulla base di uno scetticismo della comunità scientifica».

È stato così anche per lei?

«Quello che ci accomuna e che ci fa sentire solidali in una leggerezza fatta di ironia è la capacità di essere state mamme e mogli oltre che scienziate. Conciliare un lavoro competitivo con una famiglia è forse l’impresa più ardua. Non riuscire ad accompagnare i propri figli piccoli alle feste degli amichetti o non esserci ai saggi vari, per esempio, comporta molti sensi di colpa, angoscia di fondo direi. Poi però il tempo dà ragione alla scelta per la professione; per i figli avere una mamma felice è non solo positivo ma è anche un modello importantissimo da seguire».

Stesso percorso di vita privata quindi, con due figli lei, Alessandro di 29 anni ingegnere meccanico in Ferrari e Vincenzo di 25 anni, impegnato in un dottorato di ricerca al Politecnico federale di Losanna, sempre come ingegnere meccanico. La sua collega scienziata ha invece in casa una sola figlia, campionessa di canottaggio. E le figure maschili tra queste ansie per essere insieme madri e donne in carriera?

«Sono fondamentali; mio marito Gaetano Scamarcio, professore nel Dipartimento di Fisica all’Uniba, mi ha sostenuta e incoraggiata. Lo stesso è stato per Katalin Karikò e suo marito».

L’intesa con la scienziata ungherese si è palesata quella sera a Vienna, durante un ricevimento in hotel: avete indossato abiti simili, con la stessa voglia di mostrare orgogliose la propria femminilità. Lei ama da sempre la filosofia: che libro ha sul comodino?

«Doris Lessing. Il diario di Jane Somers. Premio Nobel per la letteratura. Edizioni Feltrinelli».

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