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Bari, applausi per “Io Capitano” al Galleria. In sala Garrone: «Diamo voce a chi voce non ha» – VIDEO

Successo ieri sera al cinema Galleria per il film Io Capitano proiettato al cinema Galleria di Bari. «Noi siamo abituati a conoscere le immagini dei barconi che arrivano e non sappiamo che dietro quei numeri di persone che arrivano vive o morte, ormai sono solo numeri, ci sono famiglie con dei desideri e con dei sogni che affrontano un viaggio che è una odissea». Così il regista Matteo Garrone in sala con gli attori che hanno interpretato il desiderio di libertà e di felicità. Giovani donne e uomini che per fame e disperazione decidono di partire anche a rischio della propria vita.

Il regista ha cercato di dare forma visiva a tutta quella parte di viaggio che non si conosce per raccontare il sogno dell’Europa. «Una sorta di controcampo rispetto a quello che siamo abituati a vedere». Nel film Seydou Sarr e Moustapha Fall interpretano due giovani senegalesi che si scontrano con la dura realtà del viaggio nel mare del deserto tra ingiustizie e violenze prima di raggiungere in Libia i barconi dei trafficanti.

Un film che nasce da una storia vera dopo che Matteo Garrone tanti anni fa in un centro di accoglienza per minori a Catania conosce un ragazzo di 15 anni arrivato in Italia con una barca da lui guidata per la prima volta e salva la vita a 250 migranti a bordo. All’arrivo grida «Io Capitano» perché orgoglioso di avercela fatta. Negli anni il regista ha lavorato ad altri progetti tra cui Pinocchio e poi è arrivato Io Capitano. Mentre lavorava a questo film si è accorto che c’erano molti elementi in comune proprio con la storia di pinocchio.

«Senza volerlo – spiega Garrone – il film ha molti elementi pinocchieschi. Seydou scappa senza avvertire la mamma di nascosto e Moustapha è un lucignolo fantastico quando si rivolge a lui, appassionato di musica, dicendogli che una volta arrivati in Europa diventerà famoso e firmerà autografi ai bianchi. Inseguono un paese dei balocchi e poi scoprono gli orrori della realtà che li circonda e tante altre cose che sono poi emerse. Un film che si ancora a storie realmente accadute di persone che hanno vissuto questo tragico viaggio. E noi abbiamo cercato di rimanere fedeli e autentici alle testimonianze raccolte».

Seydou e Moustapha sono realmente del Senegal e non erano mai usciti dal loro paese. Appassionati di recitazione condividevano come i personaggi il desiderio di raggiungere l’Europa anche se non avrebbero mai rischiato la vita per il viaggio. Si sono avventurati in questa interpretazione senza sapere la complessità del lavoro che dovevano fare per il film.

Perché ha deciso di raccontare questa storia?

«Per far capire, mi auguro, che c’è tutto un viaggio a volte terrificante con degli squarci di speranza. Per fortuna nei momenti più difficili tra gli esseri umani spesso si creano dei momenti di grande solidarietà, da sempre. E quindi ci sono anche dei momenti di solidarietà tra di loro, eroi protagonisti di un’avventura epica contemporanea. Questo è quello che ho cercato di raccontare con l’aiuto di chi realmente ha vissuto quel viaggio per dare voce a chi di solito voce non ne ha». 

Una storia comune a tutti coloro che decidono di intraprendere questo viaggio assurdo. Un film che colpisce al cuore il pubblico spettatore.

«Ormai – spiega Garrone – sono due settimane che giriamo l’Italia e una reazione così calda non te l’aspetti. Però eravamo convinti che il personaggio che interpreta Seydou è talmente puro che questo viaggio che lui fa con Moustapha dopo pochi minuti diventa il viaggio di tutti gli spettatori. Una ingiustizia legata al fatto che ci sono dei giovani, tanti, milioni che non hanno gli stessi diritti di altri giovani che possono viaggiare liberamente. Molti in Africa per venire qua devono rischiare la vita e questa è un’ingiustizia a cui loro non sanno dare risposta».

Presente in sala l’assessora al welfare del comune di Bari Francesca Bottalico emozionata con un gruppo di «ragazzi arrivati tutti con i barconi un po’ di anni fa. Alcuni di loro minori non accompagnati ora sono cresciuti e sono tutte bellissime storie partite da dei dolori. Tutti giovani che si sono integrati benissimo nella nostra città. Ognuno di loro ha svolto un progetto di inclusione lavorativa come ad esempio il progetto ‘Artemisia’, un bistrò sociale che si occupa di inserimento di ragazzi e ragazze migranti. Altri sono stati accolti all’interno di un progetto che si chiama ‘Famiglie senza confini’ che permette a famiglie baresi di accogliere nella propria casa e nella propria vita dei minori. Penso che si possa costruire e fare cultura dell’accoglienza per parlare della verità. Parlare attraverso il cinema credo possa essere un ottimo strumento specialmente in questo momento storico».

Sugli aspetti di cronaca e le notizie di oggi «c’è un’emergenza da anni e ci sarà ahimè temo ancora per tanti anni. Il mio racconto però è ancorato a delle persone. Dietro ogni fotogramma del film ci sono delle persone che realmente hanno vissuto quel dramma. Il film si ferma prima dei vari centri di accoglienza e di tutto quello che la tv e i giornali ci raccontano».

Intanto si pensa che il film designato dall’Italia alla corsa per l’Oscar come miglior pellicola internazionale possa essere proiettato nel Parlamento europeo e italiano oltre che nelle scuole per smuovere coscienze e sensibilità di tutti e tutte.

Il film ha vinto a Venezia non solo il Leone d’Argento per la miglior regia e il Premio Marcello Mastroianni a Seydou Sarr ma anche il Leoncino d’Oro votato da una giuria di diciottenni.

«Un premio importante – conclude Garrone – per avvicinare il film nelle scuole. Mi auguro che possa essere visto non solo in Italia ma anche all’estero e in Africa, perché sarà interessante capire se potrà essere di aiuto per mettere in guardia i ragazzi dai pericoli che affronteranno. Sanno che il viaggio è pericoloso, sanno che c’è chi muore però in realtà non l’hanno mai visto. Mi auguro possa servire da monito. Il regalo più bello che il film ci sta dando è vedere un pubblico trasversale. Ci sono giovani e meno giovani».

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