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Assegno di divorzio per la moglie quasi sessantenne che ha cresciuto tre figli

L'avvocata Cinzia Petitti (foto di Dina Peragine)

Il Tribunale di Bari con la sentenza n.1811/2024 rel. Dott. S.u. De Simone del 9.04.2024 ha riconosciuto in favore della moglie un assegno divorzile nella misura di 800 euro, confermando il provvedimento Presidenziale (ci troviamo in rito pre Cartabia). Provvedimento che richiamava gli accordi presi tra le parti in sede di separazione. Ha revocato, poi, gli assegni di mantenimento per i figli che nelle more del processo si erano rese autonome economicamente. A riguardo entrambe le parti avevano pacificamente dichiarato la circostanza. Il processo, pertanto, è proseguiti solo per l’esame della richiesta  di assegno divorzile. Il marito insistendo per il non riconoscimento o, in via subordinata, per una sua quantificazione minima, molto al di sotto dell’assegno provvisorio del quale la moglie chiedeva la conferma. Nel corso del processo è stata dimostrava  la mancanza di  capacità lavorativa della signora non avendo mai lavorato durante il matrimonio, se non per una breve parentesi non retribuita per l’attività commerciale del marito. Quello era peraltro il periodo nel quale cresceva i tre figli, per cui all’attività lavorativa veniva dedicato poco tempo e per giunta, come emerso dalle prove testimoniali, non retribuito. Successivamente dopo la separazione, pur avendo cercato occupazione, sia pur con poca convinzione, non era riuscita a rendersi autonoma.

Il Tribunale le ha riconosciuto un  assegno divorzile chiarendo una serie di principi importanti:

  1. l’assegno di divorzio ha diversa natura da quello di separazione e non può essere quantificato nella stessa misura (seppure in questa situazione veniva ritenuta congrua la quantificazione disposta in sede di separazione);
  2. la parte richiedente l’assegno di divorzio deve dimostrare di non avere la capacità lavorativa e di non avere risorse tali per potersi mantenere da sola. Nel caso di specie, la ricorrente non aveva ben adempiuto a questo onere a suo carico.  Non costituivano prova le ricerche di lavoro svolte parecchi anni addietro. Non aveva fornito, poi,  effettiva prova di aver contribuito all’incremento della situazione patrimoniale del marito;
  3. la circostanza della contribuzione, tuttavia,  può essere fornita anche con indizi (lo sono nel caso di specie la crescita di tre figli, nati a poca distanza l’uno dall’altro, i compiti di cura delegati quasi in toto alla mamma, lavorando il padre tutto il giorno);
  4. la mancanza di un titolo di studio spendibile ha rilevanza oltre all’età. La possibilità di trovare una attività lavorativa all’età di sessanta anni senza valido titolo di studio (soprattutto nel meridione d’Italia) è praticamente nulla.

Dall’esame di tutte queste circostanze il Tribunale ha ritenuto di dover attribuire alla richiedente un assegno divorzile, rigettando la richiesta del marito e condannando quest’ultimo al pagamento delle spese processuali. Il Giudicante richiamava tutta una serie di principi della Corte di Cassazione.

Il Tribunale di Bari nell’accogliere la richiesta di assegno divorziale ha così ribadito i richiamati principi.

È notorio che la determinazione dell’assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti per accordo tra le parti o in forza di decisione giudiziale nel regime di separazione dei coniugi, in quanto diverse sono le rispettive discipline sostanziali nonché la loro natura e finalità dei trattamenti. L’aspetto economico relativo alla separazione può costituire solo un indice di riferimento della regolazione del regime patrimoniale del divorzio. Del resto mentre con l’assegno di mantenimento deve assicurarsi al coniuge debole la conservazione almeno tendenziale del pregresso tenore di vita, in sede di divorzio si chiede la prova non soltanto della mancanza in capo al richiedente di mezzi adeguati per vivere dignitosamente ma anche la oggettiva impossibilità da parte sua di procurarseli. Il tenore di vita non esiste più

 Bisogna considerare tutti i criteri della normativa sul divorzio che sono di pari ordine, ovvero vengono valutati contemporaneamente con un esame complessivo. Le condizioni economiche delle parti, le ragioni della decisione della rottura, il contributo personale patrimoniale che ciascun coniuge ha dato per la buonuscita del matrimonio etc.

“Peraltro, il principio di solidarietà post coniugale è stato comunque riconfermato dalla Cassazione– prosegue il Tribunale “Quindi qualora risulti la inadeguatezza dei mezzi del richiedente o l’impossibilità di procurarseli occorrerà accertare la sperequazione tra i redditi delle parti, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare, la formazione del patrimonio comune personale con sacrificio delle proprie aspettative e la durata del matrimonio”.

Da ultimo la Cassazione ha stabilito che la quantificazione dell’assegno è slegato dal tenore di vita pregresso. E’ slegato altresì dal parametro dell’autosufficienza economica ma deve essere disposto in maniera tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo dato alla famiglia.

Ciò valutato ha ritenuto che in questo caso la resistente non gode di redditi propri ma solo dell’assegno di mantenimento, continua a vivere nella casa familiare di sua esclusiva proprietà e si trova nella concreta difficoltà di rendersi economicamente autosufficiente per età ormai non più giovanile. Sussiste uno squilibrio economico rilevante. All’assegno divorzile la moglie priva di lavoro in età non giovane che non abbia mai lavorato nel corso del matrimonio, al di fuori della sua attività di casalinga. La sua età, la mancanza di una qualche formazione professionale e le particolari condizioni del mercato di lavoro del mezzogiorno d’Italia consentono di ritenere inesistente una concreta possibilità di reperire una occupazione lavorativa. Così il diritto alimentare a carico dell’ex coniuge. La donna si ritiene abbia reso il suo contributo al benessere familiare dedicandosi prevalentemente, se non esclusivamente, alla crescita delle tre figlie della coppia, alla cura del marito e della casa per circa ventiquattro anni fino alla loro separazione personale.

Vero è che quando la relazione finisce c’è il principio di autoresponsabilità ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima!

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