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Autonomia differenziata, il professor Alicino: «I Lep non facciano la fine dei Lea»

Alla base di tutto risiede il “nuovo” titolo V della Costituzione. Voluto dal centrosinistra, nel 2001 inserì nella Carta del 1948 la disciplina sull’autonomia differenziata (art. 116, comma 3, Cost.): prevede la possibilità di attribuire ulteriori competenze a Regioni a statuto ordinario, mediante leggi approvate dal Parlamento in base a intese fra lo Stato e gli enti regionali interessati. La necessità di una sua attuazione emerge molto tempo dopo sempre ad opera dei Governi dello stesso colore. Al punto che, nel febbraio 2018, quello capeggiato dall’on. Gentiloni firma intese preliminari con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Passa un anno e l’on. Francesco Boccia se ne fa promotore in veste di Ministro per gli affari regionali del secondo Esecutivo Conte: dichiara di non voler perdere tempo, «l’autonomia differenziata si farà entro la legislatura».

Non aveva fatto i conti con l’emergenza da Covid-19, al termine della quale è il Governo Meloni, e in particolare il ministero capeggiato dall’on. Calderoli, a spingere sull’acceleratore. Lo fa con un disegno di legge (il ddl Calderoli, per l’appunto) che, dopo essere passato dal Senato, per effetto di una sorta di monocameralismo di fatto, si appresta ad essere approvato senza molti indugi dalla Camera dei Deputati.

Il testo è fonte di opposte interpretazioni. «È un passo necessario verso un Paese più moderno ed efficiente, nel rispetto della volontà popolare espressa col voto al centrodestra che lo aveva promesso nel programma elettorale», affermano i sostenitori. «È la via per una forma di neo-centralismo regionale che, impattando rovinosamente sulle amministrazioni locali e sullo Stato centrale, determinerà un’ulteriore spaccatura fra Regioni ricche e quelle povere», ribattono gli oppositori.

Di certo rimane che, a seguito della sua entrata in vigore, le Regioni potranno chiedere tante competenze. Se tutte fossero trasferite alla Regione richiedente, quanti miliardi di euro servirebbero per finanziarle? Di qui una crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, per via della diversa allocazione del gettito fiscale. Con tutto quello che ciò comporterà in termini di coesione territoriale e di doveri di solidarietà, i quali nel ddl Calderoli sono – è forse non a caso – relegati ad azioni di promozione.

Queste preoccupazioni hanno spinto il Governo a subordinare l’attuazione dell’autonomia differenziata alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep). Rimangono, tuttavia, materie (come la Protezione civile, la previdenza complementare e integrata, il sistema creditizio Regionale) per le quali non sono previsti Livelli Essenziali. E su queste si potranno fare subito le intese Stato-Regioni, senza aspettare i tempi dei Lep. Si aggiunga che il trasferimento delle funzioni può in pratica essere determinato senza condizioni: le Regioni non devono motivarlo con il rinvio a esigenze e obiettivi specifici; basta il riferimento ad una generica “efficacia”.

Quanto poi ai Lep, bisogna pure ricordare che non basta individuarli, occorre anche finanziarli, altrimenti rimangono scatole vuote, come peraltro hanno dimostrato i Lea (i livelli essenziali di assistenza), gli unici fissati fino ad ora: l’ultimo aggiornamento tabellare risale al 2017; da allora evidenze empiriche danno conto di risultati bollati da enormi diseguaglianze regionali che, peraltro, hanno reso la questione meridionale in sanità ancora più drammatica. In ogni caso, la selezione delle materie e delle relative funzioni disegnerà un nuovo ordine costituzionale, consentendo o impedendo politiche di eguaglianza formale e sostanziale, tanto più decisive quanto più legate ai diritti fondamentali delle persone. È insomma una questione molto delicata, che non può essere ridotta al suono gonfio degli slogan e neppure dissecata sul banco di opposte tifoserie e di una informazione distratta, quando non assente. Va al contrario analizzata laicamente, attraverso il confronto di esperti e politici impegnati attivamente nella vicenda. È precisamente questo l’obiettivo che la cattedra di Diritto costituzionale del dipartimento di Scienze Giuridiche e dell’Impresa dell’Università Lum si prefigge di raggiungere oggi (alle ore 15.30), quando presso la Torre Aldo Rossi della medesima Università di Casamassima (Bari) si terrà un incontro dal titolo “Autonomia differenziata. Le regioni del Sì e le ragioni del No”. Organizzato da me, dal professore Antonello Tarzia e dal già procuratore della Repubblica di Macerata Giovanni Giorgio, l’evento sarà suddiviso in due sessioni. La prima, di taglio più tecnico-giuridico, sarà incentrata sulle “coordinate costituzionali”, rispetto alle quali si confronteranno il Professore Nicola Colaianni (già Consigliere della Corte Suprema di Cassazione) e il Professore Ignazio Lagrotta (Associato di Diritto Costituzionale dell’Università di Bari). La seconda sessione verterà sul dibattito politico-istituzionale e vedrà confrontarsi il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il Presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati l’on. Nazario Pagano.

Le due sessioni saranno moderate dal presidente della Camera Amministrativa distrettuale di Bari il Luigi d’Ambrosio e dal direttore del TgNorba Vincenzo Magistà.

Francesco Alicino è professore ordinario e prorettore alla didattica Università Lum

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