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Il federalismo fiscale per contenere spesa e divari

Il secessionismo “bossiano”, messo a tacere anche da Forza Italia e Silvio Berlusconi, alleato negli anni ’90 e 2000 della Lega Nord, nel 2001 suggerì al centrosinistra, in maniera scellerata, la riforma del titolo V della Costituzione, quella cui si appoggiano, adesso, le richieste secessioniste di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, e la famigerata legge Calderoli con le sue norme attuative.

Nel 2001 l’intento era sicuramente, per motivi elettorali, togliere attrattiva al richiamo localistico della Lega Nord, e presentarsi, come centrosinistra, anch’esso paladino di autonomia e decentramento; ma l’intento dei riformatori dell’articolo 116 della Costituzione era allora di elencare un certo numero di materie che le Regioni avrebbero potuto chiedere (si pensava, in apparenza ragionevolmente, ma troppo ottimisticamente, a poche materie) in ragione di particolari esigenze territoriali diverse da quelle di altre Regioni.

Nessuno pensava alla possibilità che una o più Regioni chiedessero di avere tutte le materie elencate nell’articolo 117. Da allora, infatti, si è arrivati al presente tentativo, più subdolo, più “furbo” e “nascosto”, di una secessione nei fatti, puntando a “devoluzione”, poteri e soldi, raccogliendo il gettito fiscale “territoriale” (che non esiste, essendo, esso gettito, esclusivamente individuale, come recita l’articolo 53 della Costituzione).

Come ho scritto su questo giornale, nel dibattito sulla secessione dei ricchi, alcuni “vedono” la ricostituzione di una “nuova” Cassa per il Mezzogiorno. È ovvio che una riproposizione di un “istituto” vecchio ormai di quasi 70 anni non ha senso. Però è necessario intervenire in qualche modo. Le cifre sugli investimenti al Sud sono in calo e non rispettano i livelli di “addizionalità”, clausola che garantisce che i fondi europei non sostituiscano la spesa pubblica nazionale, ma rappresentino “un di più”, per garantire effettivo e significativo impatto economico. Da decenni i fondi aggiuntivi europei sono stati utilizzati per il Sud come fondi ordinari. Questa è la gravissima colpa, o peggio, dolo, che governi di ogni colore politico hanno nei confronti del Mezzogiorno. La Germania, invece, in un decennio o poco più, con massicci investimenti di centinaia di miliardi, ha cercato di sanare il gap, enorme, esistente tra l’Est ed il più ricco Ovest, immediatamente dopo l’unificazione.

Bisogna denunciare i pericoli derivanti da un uso distorto e sostanzialmente truffaldino di spesa media pro-capite e spesa storica, e chiedere l’attuazione completa della legge 42/2009, sul federalismo fiscale, che prevede una perequazione integrale nei confronti dei territori e delle città “più povere” (per la stragrande maggioranza al Sud).

In maniera convinta, inoltre, penso che richieste, spiegate e motivate, della Regione Emilia-Romagna, siano sacrosante: per esempio, garanzia (per una corretta programmazione) di risorse disponibili negli anni per infrastrutture ed edilizia scolastica; garanzia di numero e competenze degli insegnanti in modo di cominciare regolarmente l’anno scolastico senza attendere tardive nomine e trasferimenti e spostamenti, e soprattutto, evitare le cosiddette classi-pollaio. Queste, però, è ovvio, non sono esigenze esclusive dell’Emilia-Romagna, ma di tutte le Regioni. Ecco dove il regionalismo differenziato come coniugato in questi anni va spazzato via: non si possono soddisfare, per legge, giuste richieste, solo a una parte di cittadini. I principi di perequazione, di uguaglianza, di solidarietà, che sono in Costituzione, vanno rispettati: non sembrerebbe così qualora le richieste delle Regioni secessioniste dovessero essere approvate nella loro versione originaria.

In definitiva, oltre all’articolo 3 della Costituzione, al quale è bene sempre rifarsi, non basta citare il 116 comma 3 senza che questo preveda una applicazione del già citato 119 e quindi del 117 e, ancora, della legge 42/2009. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, e poi ancora Piemonte e Liguria, pensano a loro stesse, non alle regioni italiane: guardano al 116, non al 119 e al 117. Con richieste a tappeto di 23 materie per Veneto (tutte quelle previste dall’art 117 della Costituzione), un po’ meno per Lombardia ed Emilia-Romagna, valgano i gravi interrogativi di fondo sollevati nel dibattito e ripresi in un documento del Dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi (Dagl) della presidenza del Consiglio: quali sono le specificità regionali che giustificano queste richieste differenziate? Con queste richieste non si prefigurano Regioni a statuto speciale? Se fossero estese a tutte le altre regioni, come possibile in teoria, si configurerebbe un surrettizio cambiamento dell’articolo 117.

Dal punto di vista generale, nei Paesi dove c’è un federalismo forte e ben ordinato, c’è ovviamente anche un potere centrale saldo ed autorevole con attribuzioni ben precise. Credo che sia tempo di avviare un processo riformatore, per forza di cose medio-lungo, che abbia sia la capacità di rafforzare il governo centrale sia quella di avviare una complessiva modifica delle autonomie locali, avendo come obiettivo quello di mettere tutti su di uno stesso livello. Si dovrebbero quindi ridiscutere competenze e ruoli di Regioni a statuto speciale, province autonome, città metropolitane, e quant’altro. Riconoscendo l’importanza fondamentale dei Comuni. Se tutte le Regioni chiedessero (come probabile, forse inevitabile) poteri e competenze uguali a quelle di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ci sarebbe un insostenibile incremento della spesa pubblica (con conseguenze catastrofiche) oppure si allargherebbe “per legge” il gap tra cittadini di una parte d’Italia e l’altra, e questo andrebbe sicuramente contro il dettato costituzionale.

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