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La casa familiare espropriata

E’ giunta dinanzi alle Sezioni Unite della Cassazione (dalla quale si è oggi in attesa del responso), lo scorso anno  (ordinanza interlocutoria n.28871 del 25.10.2021), una questione annosa e spinosa relativa al valore da attribuire ad una casa familiare che sia gravata da un diritto di assegnazione dell’immobile. Nel caso particolare (ed in quelli che in questi anni si sono succeduti) il coniuge comproprietario, assegnatario della casa familiare, in quanto genitore collocatario  dei figli minori,  voleva acquistare dall’altro la sua metà, pretendendo  non una valutazione di mercato del bene immobile ma una diversa che tenesse conto di un suo consistente deprezzamento.

Deprezzamento legato al diritto di assegnazione gravante sulla stessa.

In tal modo la metà casa di proprietà dell’altro coniuge si sarebbe  potuta “riscattare” ad un prezzo di molto inferiore a quello ricavabile da una normale vendita a terzi.

Ci sono cause in corso, oltre al caso in esame, proprio su questo punto.

In quanto con  consulenza tecnica disposta nei processi  alcuni CTU ne valutano il deprezzamento, altri, invece, rimangono ancorati al prezzo di mercato.

I giudici poi si emettono le relative sentenze a seconda delle indicazioni date dai consulenti nominato, salvo diverso convincimento.

Abbiamo, quindi, discordanti decisioni giudiziarie che hanno creato una frattura sulla questione che deve essere ricucita dalla Cassazione a Sezioni Unite.

A parere della scrivente (che pure ha trattato casi del genere) far passare il concetto che il prezzo della casa familiare debba subire una decurtazione per il diritto di assegnazione, che comunque è un diritto revocabile in qualsiasi momento proprio perchè “rebus sic stantibus”, significherebbe attuare un vero esproprio nei confronti dell’altro soggetto, comproprietario e  non collocatario della prole.

Perchè è vero che il diritto di assegnazione immobilizza la casa familiare per un numero di anni anche consistente, quando si tratta di figli minorenni, ma si conserva  l’aspettativa del comproprietario di rientrare nel possesso dell’immobile prima o poi.

Ciò quando il diritto di assegnazione dovesse essere revocato per l’autonomia economica raggiunta dai figli o per un cambio di collocamento della prole, con conseguente riassegnazione dalla casa familiare o per altre situazioni sopravvenute (es. trasferimento).

 La Cassazione dovrà decidere, quindi, se il diritto di assegnazione in questi casi possa determinare l’applicazione di un metro di valutazione diverso dell’immobile da quello che è il valore di mercato o meno.

E’ auspicabile la seconda soluzione.

Ovvero che si permanga il valore di mercato dell’immobile nel caso in cui l’altro coniuge voglia  acquistarlo.

Ciò proprio per i motivi anzidetti perchè se passasse questo principio anche da parte della Cassazione veramente ci troveremmo di fronte a delle svendite della casa familiare.

Anche perchè il coniuge che vi abita potrebbe intentare una causa di scioglimento/divisione della comproprietà del bene immobile della stessa fattispecie  di quella che ha dato origine alla rimessione in Cassazione della questione.

In tal modo potrebbe acquistarla “banco iudicis” ad un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato, sacrificando il diritto di proprietà dell’altro comproprietario. La Corte di Cassazione, con la richiamata  ordinanza interlocutoria, prendendo atto della presenza di due orientamenti divergenti, ha rimesso la questione all’esame delle Sezioni Unite. Con ciò chiedendo che la Corte di Cassazione decida se nel caso di cause di tale tipologia il vincolo di assegnazione ad un coniuge comporti un deprezzamento del bene o permanga la sua valutazione per la determinazione del prezzo secondo quello che è il mercato immobiliare. Si attende con curiosità il verdetto.

Cinzia Petitti è avvocato e direttore della rivista www.dirittoefamiglia.it

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