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L’assegno di mantenimento quando deve essere restituito dal coniuge? La parola alla Cassazione

La Cassazione si è pronunciata, a Sezioni Unite, con una sentenza pubblicata l’8/11/2022 su di una problematica che ha portato spesso a pronunzie diverse dei tribunali e conflitti tra avvocati delle parti per l’esecuzione delle sentenze di separazione o divorzio che eliminavano l’assegno di mantenimento del coniuge o del figlio maggiorenne riconosciuto, invece, per tutta la durata del processo.

Stesso problema che si pone per i ricorsi di modifica delle condizioni di separazione, con il riconoscimento finale del buon diritto all’ eliminazione o riduzione dell’assegno.

In genere i tribunali dispongono la decorrenza temporale a partire dal quale opera la riduzione dell’assegno di mantenimento o la sua eliminazione.

La dicitura più spesso nota è quella di “a partire dal mese successivo alla data di pubblicazione della sentenza”.

Di talchè il problema viene con tali indicazioni ridotto alla radice (non retroattività=non ripetibilità) e non c’è margine di interpretazione.

Ma alcuni provvedimenti hanno disposto la retroattività sin dalla domanda giudiziale o dal momento dell’accertamento della condizione che ha determinato l’ eliminazione dell’assegno.

Soprattutto nelle ipotesi in cui la mala fede o comunque la colpa del beneficiario sia stata accertata in istruttoria.

A volte, poi, queste clausole nemmeno vengono apposte in sentenza.

Quindi, in applicazione del principio che i tempi per l’attesa della decisione sulla domanda non possono pregiudicare i diritti di una parte, nel caso in cui la sentenza è favorevole, questa avrebbe il diritto sin dalla domanda (ovvero fin dal ricorso introduttivo che può risalire anche cinque o sei anni addietro) alla riduzione/eliminazione dell’assegno.

Con conseguente obbligo restitutorio.

Negli anni la prassi giudiziaria ha applicato in generale il principio della irrepetibilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento, sancendone la natura di crediti alimentari, non compensabili e pignorabili, con la conseguenza che gli arretrati non potevano essere corrisposti dal coniuge che perdeva l’assegno.

Ciò in quanto si presumeva speso interamente l’assegno di mantenimento!

Soprattutto per quello, come la maggiore parte, di importo non elevato.

Si sono però registrate pronunzie diverse che hanno disposto la retroattività della sentenza, non tanto per intaccare il principio della irripetibilità quanto per evitare che il coniuge beneficiario potesse richiedere in via esecutiva gli assegni di mantenimento pregressi non pagati.

Altre sentenze, poi, hanno disposto retroattività e ripetibilità in ipotesi, per esempio, di mala fede del coniuge beneficiario che aveva percepito l’assegno dichiarato poi non dovuto.

Infatti, se quest’ultimo per tanti anni ha percepito un assegno non dovuto, non sarebbe giusto che in virtù del principio dell’irrepetibilità il medesimo possa “farla franca”.

Si tratta di casi in cui vengono riconosciuti degli assegni di mantenimento pur in carenza dei presupposti perché il beneficiario (e tra questi anche il figlio maggiorenne) ha nascosto redditi, un lavoro od altre circostanze che poi si cristalizzano solo nel corso dell’istruttoria.

In questo quadro è intervenuta la Cassazione a S.U cui è stata rimessa la soluzione dei seguenti quesiti:

  • “se i crediti afferenti agli assegni che traggono origine dalla crisi del rapporto di coniugio posseggano tutti indistintamente i caratteri della irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità propri dei crediti alimentari”;
  • se, poi,l’irripetibilità possa legarsi alla modesta entità dell’assegno e se, in caso di importi più elevati, sia possibile in sede di ripetizione scorporare l’assegno e sancirne la irripetibilità solo di una parte di esso, la quota con destinazione para-alimentare e la ripetibilità della restante parte;
  • se, infine, il principio della ripetibilità possa essere esteso anche al figlio maggiorenne che abbia percepito indebitamente l’assegno.

I principi espressi dalla sentenza si possono così semplificare:

  1. “ove con la sentenza venga escluso in radice e «ab origine» (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno «stato di bisogno» del soggetto richiedente.. ..ovvero si addebiti la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme”
  2. “ non sorge, a favore del coniuge separato o dell’ ex coniuge il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale.. venga rimodulato «al ribasso» ; il tutto sempre se l’assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione.

La modesta entità dell’assegno corrisposto costituisce, quindi, sempre quel limite invalicabile, come il limite di pignorabilità degli stipendi e pensioni, che blocca la ripetibilità.

Non si è pronunziata la Cassazione sull’eventuale scorporo dell’assegno (della base alimentare da quella che non lo è) e sulla estensione al figlio maggiorenne dei principi (cosa che sicuramente per analogia i Tribunali faranno) ma sicuramente la complessa sentenza mette un punto fermo su di un tema molto confuso anche per gli esperti del settore!

Cinzia Petitti è avvocata e direttrice della rivista www.Diritto§Famiglia.it

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