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Al Sud zone franche come in Uruguay e a Barcellona

Il Sud Italia ha bisogno di scelte audaci e radicali. Non bastano più le misure come la Zes unica o la Decontribuzione, seppur apprezzabili e necessarie. È il momento di fare un salto di qualità, di pensare in grande e con visione a lungo termine. Se vogliamo davvero rilanciare il Sud, dobbiamo guardare oltre le soluzioni temporanee e puntare su qualcosa di più incisivo e strutturale: la creazione di zone franche per settori strategici. Non in tutti i settori economici, ma in quelli che nei prossimi decenni guideranno l’economia globale: energie rinnovabili, innovazione tecnologica, ricerca scientifica e tecnologia avanzata.

Guardiamo alle esperienze di successo in altre parti del mondo. La zona franca di Barcellona è un esempio di come una politica coraggiosa e ben strutturata possa trasformare un’area in un polo di innovazione e sviluppo sostenibile. Qui, grazie a politiche che promuovono la crescita tecnologica e l’economia circolare, il distretto ha saputo attrarre investimenti significativi, creare posti di lavoro qualificati e, soprattutto, coinvolgere attivamente la comunità locale. È questo il modello che dobbiamo seguire: non solo agevolazioni fiscali, ma un coinvolgimento profondo del territorio, un dialogo costante tra aziende, istituzioni e comunità, affinché i benefici siano condivisi e duraturi.

La mia proposta per il Sud Italia è ambiziosa, ma realizzabile: creare zone franche strategiche dove le imprese operino in un regime di esenzione fiscale totale per almeno cinque anni. Durante questo periodo, le aziende dovranno reinvestire gli utili sul territorio e non distribuirli agli azionisti. In questo modo, si eviterebbe che le agevolazioni fiscali diventino un semplice strumento speculativo. L’obiettivo non deve essere solo attrarre investitori, ma creare un legame forte e duraturo con il territorio. Le imprese che decidono di stabilirsi nelle zone franche devono avere l’obbligo di coinvolgere le comunità locali nei loro processi decisionali, per assicurare che i progetti di investimento siano inclusivi e abbiano un impatto positivo sull’intera area.

Naturalmente, a fronte di incentivi così significativi, è necessario prevedere regole stringenti. Le imprese che, dopo il primo quinquennio, decidessero di spostare la propria sede o di disinvestire dovrebbero essere soggette a penalità severe. In questo modo, ci assicuriamo che chi beneficia delle agevolazioni lo faccia con l’intenzione di costruire qualcosa di stabile e duraturo nel Sud. Questa strategia, che potremmo definire un vero e proprio “patto” tra Stato, imprese e comunità locali, garantirebbe che gli investimenti non siano semplicemente “spot”, finalizzati a sfruttare gli incentivi, ma rappresentino un impegno di lungo termine per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.

A livello internazionale, esempi come quello già anticipato della zona franca di DFactory a Barcellona, che ha puntato su settori come l’industria 4.0 e la tecnologia avanzata, ci dimostrano che le zone franche possono essere dei veri motori di crescita economica se ben progettate. Anche l’esperienza di Zonamérica in Uruguay, dove l’innovazione tecnologica e la collaborazione con le istituzioni locali hanno portato a uno sviluppo sostenibile e inclusivo, ci offre una lezione importante: il successo di una zona franca non dipende solo dalle agevolazioni fiscali, ma dalla capacità di costruire un ecosistema favorevole alla crescita, dove le comunità locali siano parte attiva del processo. Nel contesto del Sud Italia, queste zone franche potrebbero diventare catalizzatori di innovazione.

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