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La cronaca, tra marchettari di provincia e umorismo

Ci vorrebbe l’occhio di Enrico Ghezzi per smontare quello che, specie in queste ore, l’informazione assembla. E l’assemblaggio non è mai casuale. Il destino a volte abbandona i panni del lurido usuraio per assumere quelli del fine umorista, del marchettaro di provincia.

La tragedia del Medio Oriente e quella Ucraina, il filo rosso che lega la sofferenza di popolazioni inermi – donne, bambini, anziani: una mattanza infame – al rito della selettiva disumanizzazione di popoli tali da renderli simili a pezzi di legno da ardere.

Un corto circuito fatto di doppia morale; dell’infamia di indicare i “pacifinti” al pubblico ludibrio facendo passare per la cruna dell’ago le cointeressenze criminali di regimi che hanno nel suolo italico più di una dependance; della criminale associazione di Liliana Segre quale agente sionista. Liliana, con la sua storia, con la sua scorta per poter girare incolume in questo Paese, oggi, 2024.

Torniamo a Ghezzi e al suo fluido mortale. Perché il controcanto della disperazione della guerra è un bordo piscina – una specie di esterno notte – con sagome, figure ricolme di tatuaggi. Riesce difficile dare un nome. Sagome, figure, niente altro. Il controcanto della guerra è il nulla. E non occorre neanche scomodare nichilismi e letture dotte; saremmo fuori traccia. E la colonna sonora è quella del rapper, certo. Per fare un Carmelo Zappulla, non scomodo Mario, ce ne vorrebbero una cinquantina. La proporzione è 1:50 e la speranza è di vederli nella piana, alle 4.39, con i fari dei furgoni, a raddrizzare zucchine. Speranza vana, lo so. Sono peggio, assai peggio della guerra. Sono Il Male, nella loro banalità leggera, fluida. Il serpentone del fluido di Ghezzi si arresta sulla certificazione della fine del campo largo. Lo ammetto: il primo pensiero è andato a quella rubrica che ha reso “Cuore” un grande rimpianto. Certo, “e chi se ne frega”. Ci sta tutto. Eccome. Però, a pensarci meglio: che tempismo.

Manco Eraldo Pecci, in quel centrocampo, aveva un simile metronomo. Quando il mondo crolla e la storia inforca i tornanti che possono essere del non ritorno, la politica si smarca dall’unico dovere che è proprio di chi la politica la ama: esserci.

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