Home Editoriali No, caro ministro, quel decreto non cura i mali della detenzione

No, caro ministro, quel decreto non cura i mali della detenzione

Com’è noto, il Governo ha recentemente emanato il decreto legge n. 92 del 4 luglio 2024, riguardante “misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”.

Essendo un provvedimento riguardante misure urgenti, esso attinge materie diverse.

Per la parte che qui interessa, il decreto è stato presentato come risposta al problema del sovraffollamento carcerario, da cui deriverebbe il trattamento disumano delle persone detenute e il numero impressionante e crescente delle persone che decidono di porre termine alla loro esistenza in vita.

A ben vedere, in tema di liberazione anticipata, anziché provvedere urgentemente ad ampliare quantitativamente il beneficio (come, ad esempio da 45 a 75 giorni per ogni semestre di pena sofferto, come opportunamente suggerito dalla proposta di Roberto Giachetti e Rita Bernardini), si attribuisce alla Procura il compito, ove il condannato abbia partecipato al’opera di rieducazione, di computare eventuali detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata nell’ordine di esecuzione e al Magistrato di Sorveglianza di farlo in caso di ricezione di richiesta di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi.

Il decreto dispone altresì, allo scopo di semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento delle persone detenute adulte, l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale.

Il provvedimento legislativo programma, inoltre, l’assunzione di mille unità del Corpo di Polizia penitenziaria e dispone l’incremento dei colloqui telefonici con i familiari.

Il Ministro ha tenuto a definire il provvedimento come decreto “carcere sicuro”, respingendo quella terribile definizione di decreto “svuota carceri” che sembra richiamare il tema dello smaltimento dei rifiuti indifferenziati anziché riferirsi a persone che hanno diritto ad una riabilitazione sociale lasciando al più presto quel macabro luogo di detenzione.

Al di là della definizione, però, non possiamo che prendere atto che si tratta dell’ennesima occasione persa per cercare di cominciare a risolvere un problema sociale di straordinaria serietà con dei palliativi che servono più a dire che si è fatto qualcosa e molto meno a farlo per davvero.

Del resto, l’espressione “carcere sicuro” tende a tranquillizzare la parte della nostra società che vede le mura invalicabili delle strutture penitenziarie rassicuranti soltanto perché invalicabili e non in quanto delimitanti un ambiente che cura i cittadini e li prepara ad un rientro migliore tra le persone.

È ovvio che non possa non apprezzarsi l’ampliamento della possibilità di accedere alle misure penali di comunità per le persone detenute, così come l’incremento dei colloqui telefonici, ma, come ben rappresentato dall’Unione delle Camere penali italiane, «di fronte al numero dei suicidi in carcere, che nella giornata appena trascorsa ha raggiunto la terribile soglia di 53 morti in poco più di sei mesi dall’inizio dell’anno, i rimedi proposti dal Governo con il DL per “l’umanizzazione delle carceri”, appaiono davvero insufficienti».

Il decreto mostra di non comprendere che, a fronte di una vera e propria emergenza, non bastano soluzioni che potrebbero astrattamente offrire soluzioni nel lungo periodo, ma occorrono rimedi urgenti che riducano drasticamente il numero delle persone detenute e che consentano di curare quelle costrette a rimanere in restrizione.

È indispensabile ed indifferibile da un lato una scelta emergenziale, come quella della liberazione anticipata “speciale”, idonea a fare riconquistare la libertà alle tante persone che devono espiare ancora pene brevi per reati di inconsistente allarme sociale, in tal modo favorendo le “uscite”.

Dall’altro lato, occorre ridurre in maniera consistente le “entrate”, procedendo senza indugio alla scelta di razionalizzare davvero al massimo l’uso della misura cautelare carceraria, che dovrebbe riguardare soltanto le persone accusate di reati che consentono di accertare un oggettivo pericolo per la società derivante dall’adozione di misure meno afflittive, così rappresentando quella eccezione ipotizzata dal legislatore.

Occorre pure evitare gli accessi al carcere per tutti i condannati ad una pena inferiore a quattro anni di reclusione, con un favor assoluto ed incondizionato per la detenzione domiciliare.

Come conclude il comunicato dell’Unione delle Camere penali, «a fronte delle condizioni di oggettiva inciviltà in cui versano le carceri in Italia, auspichiamo che la politica abbandoni inutili slogan e scelga di operare, in aderenza ai principi costituzionali, ponendo in essere rimedi immediati e urgenti realmente sottesi all’umanizzazione della pena ed al superamento delle attuali condizioni di sostanziale illegalità».

Non si potrebbe dire meglio poiché dovrebbe essere compito di tutti noi provare a fare qualsiasi cosa che possa evitare il protrarsi di un massacro di persone deboli ed indifese.

Comunque, tanto per cambiare, il decreto che si presenta come finalizzato a risolvere i problemi del carcere rendendo la pena più umana introduce distrattamente un reato, il redivivo peculato per distrazione. Intelligenti pauca…

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