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La sofferenza sociale dimenticata

Secondo le ultime rilevazioni Istat, nel mese di febbraio, i prezzi hanno registrato un aumento del 9,2% su base annua.

Si osserva nel dato aggregato un rallentamento della spinta inflazionistica, dovuta essenzialmente alla flessione dei prezzi dei beni energetici regolamentati e la decelerazione di quelli non regolamentati (carburanti per gli autoveicoli, i lubrificanti, i combustibili per uso domestico non regolamentati e l’energia elettrica mercato libero, con variazione da +59,3% a +40,8%).

Ma il dato aggregato non deve trarre in inganno, il processo inflazionistico è un fenomeno complesso che altera profondamente la struttura dei prezzi relativi. Se, infatti, lo andiamo a scomporre per categorie notiamo che i prezzi di alcune categorie di beni, anche essenziali, non sono diminuiti, ma hanno subito una accelerazione.

In particolare, i prezzi dei beni alimentari, lavorati e non lavorati, sono passati rispettivamente da +14,9% a +16,2%, e da +8,0% a +8,4%, su base annua. I prezzi dei tabacchi da una variazione tendenziale nulla a +1,8%, quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona da +5,5% a +6,1% e quelli dei servizi relativi ai trasporti da +5,9% a +6,3% (sempre su base annua). Dunque, al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, l’inflazione accelera da +6,0% del mese precedente a +6,4%, quella al netto dei soli beni energetici da +6,2% a +6,5%. Se questi sono i freddi dati, impatta seriamente sui bilanci familiari e ovviamente peggiora la condizione degli strati sociali più deboli.

Lo conferma l’indagine condotta da Altroconsumo. L’inflazione ha quindi effetti negativi sulla distribuzione del reddito, agendo per le fasce della popolazione più povera come un prelievo netto sul reddito disponibile. In questa fase, il processo inflazionistico sta colpendo maggiormente i beni alimentari che pesano per il 34% del reddito disponibile del 20% più povero della popolazione (il primo quintile, con reddito medio di 10.780 euro), e solo per il 7,7% del 20% più ricco (quinto quintile, con reddito medio superiore a 95.995 euro). I costi per energia incidono per il 10,4% per il quintile più povero e solo per l’1,6% per quello più ricco, e infine, la spesa per i carburanti per mezzi di trasporto privati, incide per il 5,9% per il 20% più povero della popolazione e solo per il 2% per il 20% più ricco (dati Istat e Bankitalia, 2021).

Questi sono i fatti su cui si deve confrontare un governo che ha ormai assunto un atteggiamento neutrale rispetto alle conseguenze sociali dell’inflazione, dopo aver tentato senza successo di calmierare i prezzi del carburante. Appare ormai chiaro che nel governo sta prevalendo una componente liberista che non ha intenzione di governare il processo inflazionistico con politiche redistributive a favore degli strati sociali più danneggiati. La riforma fiscale in discussione, non sfiora neppure questi settori sociali in sofferenza, ma all’opposto li penalizza fortemente con il ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Se il processo inflazionistico non accennerà a diminuire soprattutto per i beni di prima necessità, la sofferenza sociale dovrà trovare risposte adeguate, a maggior ragione in un governo il cui maggior partito ha costruito la sua fortuna elettorale sventolando la bandiera populista, oggi ammainata di fronte a superiori interessi di parte.

Rosario Patalano è economista

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