Home Editoriali Il femminicidio e l’antica cultura maschiocentrica

Il femminicidio e l’antica cultura maschiocentrica

Gli ultimi fatti di cronaca ci riportano, con una cadenza quasi quotidiana ormai, al grande conflitto tra i due generi, quello maschile e quello femminile. Celeste Palmieri di San Severo era una donna di 56 anni madre di cinque figli e si stava separando dal marito Mario Furio, ex guardia giurata, già denunciato per le violenze perpetuate contro la moglie e attenzionato con un braccialetto elettronico che gli avrebbe dovuto impedire l’avvicinamento alla vittima.

Lei, Celeste, è morta sotto i colpi di pistola del marito nel parcheggio di un supermercato dopo aver fatto la spesa.

Ormai i casi di femminicidio sono all’ordine del giorno e ci si chiede cosa spinga la mano omicida dell’uomo contro donne innocenti che hanno l’unica colpa di voler terminare un rapporto diventato tossico, segnato non più dall’amore reciproco ma dalla violenza e dalla sottomissione della volontà dell’uno a favore delle richieste dell’altro.

Il patto tra i due generi sembra essersi rotto. In realtà, la tradizione ci viene in supporto ponendo Zeus come padre e re degli dèi dell’Olimpo, affermando così una visione patriarcale e maschiocentrica che vide, in modo paradossale, Atena nascere dalla sola testa del padre.

Anche la tradizione biblica pone il maschio al centro facendo nascere Eva dalla costola di Adamo. Lo stesso Omero, per bocca di Agamennone, insegna a diffidare della donna perché considerata un “essere infido”. Un’altra opera emblematica è l’Oresteia di Eschilo, in essa Clitennestra, moglie di Agamennone, attende suo marito per poterlo assassinare per aver avuto come concubina la troiana Cassandra e aver sacrificato sua figlia agli dèi per potersi assicurare una tranquilla navigazione.

Il figlio Oreste la assassinerà per vendicarsi della morte del padre e, successivamente, sarà difeso da Apollo e assolto con la seguente sentenza: “non è la madre generatrice di quello che è chiamato suo figlio: ella è nutrice del germe in lei seminato. Il genitore è colui che la feconda”.

La cultura maschiocentrica ha una lunga testimonianza in scritti e fatti ed ha alimentato un narcisismo che ai tempi nostri è diventato patologico e cronico.

L’uomo pretende di essere riconosciuto nel suo ruolo e non riconosce nessuna attenuante ad una donna che lo rifiuta e rifiutandolo lo rinnega. Ebbene, ciò che caratterizza il narcisista patologico cronico è proprio questa reazione violenta.

Egli si sente degno di apprezzamenti e ammirazione e non comprende ogni forma di negazione.

L’uomo, nella cultura machista, diventa idolo di sé stesso e, come affermò Sigmund Freud nel suo “Totem e tabù”, nelle tribù africane il totem rappresenta l’idolo inviolabile, il dogma che ha un valore assoluto per tutti gli appartenenti alla tribù.

Quando l’uomo diventa idolo di sé stesso egli si incarna come dogma, come valore assoluto ed ogni forma di violazione o di oltraggio merita di essere punita. Ecco che la donna diventa improvvisamente suddita di un uomo che incarna l’inviolabilità, il dogma, l’idolo, il narciso cha non accetta il contraddittorio.

Quindi, parlando di femminicidio, ogni azione preventiva va direzionata verso l’uomo cercando di cogliere ogni piccolo segnale ed avviare prima possibile percorsi di sostegno psicologico e cura obbligatori che forse, più del solo braccialetto elettronico potrebbero ricongiungere l’uomo con quella parte di sé devastata da falsi convincimenti e false credenze.

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