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Mediterraneo spacciato senza politica

La politica è morta già da un pezzo. Diciamo quarant’anni. Ovviamente il riferimento è alla nobile arte di governare con scienza e coscienza la polis o la nazione perseguendo il bene comune. Insomma, la politica per come ce l’ha insegnata Platone e per come è stata nei secoli definita da filosofi, intellettuali, storici, imperatori illuminati e non pochi uomini di lotta e di governo, anche. Oggi la politica, nel migliore dei casi, è esibizione di muscoli e disprezzo per la conoscenza. Tanto quel che serve lo “googli” e ti appare, con buona pace di Umberto Eco il quale avvertiva che, se non sai cosa cercare, non ti servirà una biblioteca. Più o meno quel che già diceva Seneca a proposito di marinai senza meta per i quali non esiste vento utile. Nel migliore dei casi, oggi la politica è l’arte di gestire… quel che è rimasto. Insomma, sopravvivere. D’altronde, se lo Stato è divenuto un’azienda come le istituzioni e loro diramazioni, ovvio che chi governa sia chiamato a tenere in ordine i conti barcamenandosi sul crinale del fallimento, magari ritagliandosi qualche spazio per sé ed i soliti noti… a debito. Ovvio che a Sud, tutto si complichi maledettamente.

E dunque cosa puoi chiedere a questa politica?

Di rimettere mano alla ricostruzione del continente mediterraneo che fu dei Greci e dei Romani? Di Maometto e di Carlo Magno? Di Al-Malik al-Kamil e di Federico II e giù giù fino a Enrico Mattei? Davvero una bella sfida. Perché non solo il destino del Mezzogiorno, ma anche quello dell’intera nazione italiana e della stessa Europa è legato al ritorno del continente mediterraneo, oggi abbandonato ai traffici cinesi, alle violenze russe, alle ambizioni turche, ai regolamenti di conti israelo-palestinesi, alle guerre, alle morti e allo sfruttamento senza limiti. Oppure varare finalmente un’azione di sviluppo per il Sud funzionale a tutto il Paese? Oggi abbiamo un pil procapite tra il 40 e il 50% di quello nazionale. Il potere d’acquisto in caduta libera a fronte di prezzi e tassi di interesse in costante aumento. Ottantamila giovani che annualmente se ne vanno. La povertà dilagante. Il lavoro che non c’è e quel poco che resiste è precario. Autonomia differenziata che sancisce la definitiva condanna del Sud. Azzeramento di ogni strategia di rilancio del suo ruolo economico-sociale-produttivo. Varo di un Pnrr voluto dall’Europa per il riequilibrio Nord-Sud e divenuto pascolo per i più forti, ossia il Nord. La logistica, i porti, le ferrovie derubricati e depotenziati. Servono coraggio e scelte precise.

In alternativa, cosa rimane? L’hub energetico a servizio del Nord Italia e del Nord Europa con un fiorire di progetti e autorizzazioni per campi fotovoltaici e foreste di pale eoliche in terra e in mare. Per non parlare delle Zes che avrebbero dovuto concentrare logistica-produzione-fiscalità di vantaggio-ricerca e innovazione in pochi territori con porti di prim’ordine in cui attrarre investimenti e che intanto sono divenute lande indistinte in cerca di identità. E allora? Cosa aspettarsi? Un soprassalto di coscienza da parte della politica? Che riscopra il Sud come terra di frontiera con un grande futuro non solo alle spalle? Che riparta dai suoi grandi porti? Che ricominci dal Mediterraneo? Che riscopra il ruolo del Sud come ponte per l’Africa e l’Oriente? Che apra finalmente le porte ad una migrazione che sola ci può salvare da spopolamento, desertificazione, invecchiamento, decadimento irreversibile non solo nel calcio? Che restituisca a sanità e scuola la loro funzione vitale chiudendo definitivamente la fallimentare esperienza della falsa efficienza aziendalistica? Che riprenda nelle sue mani il futuro, scongiurando il senso di frustrazione con derive separatiste-indipendentiste che già serpeggia qua e là? Ne riparliamo a settembre.

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