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Se l’Europa ci riporta alla realtà

Tra qualche solenne, noiosa e davvero inutile lectio magistralis (di rigorosa scuola Wikipedica) di ministri in carica con ambizioni accademiche, una comparsata eroica della premier nel fango della disastrata Romagna, molte allarmate dichiarazioni sulla presunta minaccia alla purezza della razza italiana (mai esistita) e l’epurazione di pericolosi influencer stalinisti dalla televisione di Stato, il governo delle distrazioni è ora messo di fronte alle responsabilità dalla solita e sempre odiata Unione europea.

Che cosa vuole ora Bruxelles per disturbare le normali attività accademiche, social e mediatiche dei ministri? Innanzitutto chiede conto dei tempi di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, poiché agli arcigni anti-italiani burocrati europei non è stato consegnato ancora il piano di modifiche. Giustamente il discorso del governo è: prima i soldi dovuti (la terza tranche da 19 miliardi chiesta da settimane dall’esecutivo) e poi (forse) vi daremo il piano rimodulato, ma a Bruxelles questo tipo di ragionamento non deve essere molto piaciuto, visto che i soldi non sono ancora arrivati. Finora l’Italia, nell’ambito del Pnrr, ha ricevuto 42 miliardi di euro, che si aggiungono ai 24,9 miliardi anticipati ad agosto 2021. Se la terza tranche sarà liquidata, il nostro paese nel complesso avrà ottenuto 85,9 miliardi. A fronte di questa massa di denaro, sono stati realizzati 151 obiettivi (55 solo nel secondo semestre 2022, a cui sono legati i 19 miliardi non liquidati), ma entro giugno devono essere realizzati altri 27 traguardi e obiettivi, a cui se ne aggiungeranno altri 69 da centrare entro dicembre, al fine di ottenere altri 68 miliardi, divisi in due tranche per semestre.

Ma sotto esame di Bruxelles non è solo il Pnrr. La Commissione europea, nel suo Country Report, entra nel merito della futura politica economica del governo Meloni, fissando precise limitazioni e indicando un percorso obbligato. Innanzitutto il controllo della spesa primaria netta nel 2024, che deve restare entro il limite dell’1,3% (riportando il deficit sotto al 3% del Pil). Il governo deve poi eliminare tutte misure di sostegno attuate per far fronte alla congiuntura negativa causata dal conflitto russo-ucraino e dare priorità assoluta alla riduzione del disavanzo e degli squilibri macroeconomici, pena l’attivazione di procedure per deficit eccessivo. Deve poi realizzare le riforme fondamentali: in primo luogo la madre di tutte le riforme, quella del fisco, in direzione dell’efficienza e dell’equità, Vanno ridotte le imposte sul lavoro e i sussidi dannosi per l’ambiente, deve essere razionalizzata l’Iva, semplificato il codice tributario, deve essere riformato il catasto per adeguare i valori al mercato. Bruxelles richiama l’attenzione di Palazzo Chigi, distratto tra inviti accademici e denunce di complotti etnici, sulle maggiori fragilità del paese: l’emigrazione dei giovani con formazione elevata (il 19% dei dottorati nel 2018), le carenze sul fronte dell’istruzione di base che causa l’elevato tasso di disoccupazione giovanile (22,3% a marzo 2023), il calo demografico che colpisce soprattutto il Sud, limitando la sua futura crescita, l’invecchiamento della popolazione che potrebbe essere corretto solo da un saldo migratorio positivo (rimedio che non è certo gradito al governo della difesa razziale). Non vanno certo in questa direzione le riforme sostenute dal governo Meloni, cioè la flat tax e l’autonomia differenziata che, secondo Bruxelles, aumenterebbero la complessità del sistema fiscale italiano, ridurrebbero fortemente l’equità e metterebbero fuori controllo la spesa pubblica (soprattutto per la parte che riguarda l’implementazione dei livelli essenziali di prestazione). Un richiamo alla realtà, quindi, che deve spingere il governo Meloni a uscire dalla eterna propaganda distraente. La maggioranza non è priva di profonde contraddizioni, assopite per ora dalla capacità di mediazione della premier, ma sotto la garbata facciata di diplomatica cortesia cova il fuoco della polemica anti-europea che ha fatto la fortuna elettorale della nuova destra e che prima o poi esploderà. E allora non ci saranno più cortesi sorrisi, ma decise rivendicazioni di sovranità violate.

Rosario Patalano è docente di Storia del pensiero economico presso l’università “Federico II” di Napoli

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