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Carceri, Barbano: «Lasciare che disperati si ammazzino in cella? Roba da soluzione finale» – L’INTERVISTA

«Siamo davanti a una “soluzione finale” adottata per liberarsi di un fardello pesante per la sicurezza pubblica»: Alessandro Barbano, già direttore de “Il Mattino”, “Il Riformista” e “Il Messaggero” e oggi punta di diamante del format-web “War Room”, non usa mezzi termini nel commentare l’escalation di suicidi nelle carceri italiane.

Direttore, siamo già a quota 55 vittime dall’inizio del 2024…

«L’articolo 40 del codice penale sancisce il principio per il quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Se ciò vale per il cittadino, deve valore a maggior ragione per lo Stato. Quindi non impedire un suicidio in un luogo dove la vita di una persona è sotto il controllo totalitario dello Stato, rende quest’ultimo quanto meno corresponsabile».

Possibile che nessuno riesca a fermare la progressione?

«Nel momento in cui annuncia l’entrata in servizio di mille agenti di polizia penitenziaria di qui al 2026, il governo Meloni non fa altro che buttare la palla in tribuna. Quale impatto può mai avere l’arrivo di poche unità di personale sull’emergenza agostana? Perché è di questo che si parla: in estate il numero dei suicidi in carcere è quadruplicato. Perché il personale va in ferie, perché le attività di recupero si fermano e anche per il caldo e le pessime condizioni igieniche. Certo è che, in quei giorni, la moltitudine caotica dei detenuti diventa solitudine disperata con gli esiti che conosciamo».

All’origine dei suicidi c’è soltanto il sovraffollamento?

«No. C’è il sovraffollamento, ma ci sono anche le pessime condizioni igieniche e strutturali, l’insufficienza delle attività di recupero, la mancanza di prospettive occupazionali dopo l’espiazione della pena. Non a caso l’indice di suicidi in carcere è venti volte più alto di quello che si registra nella popolazione non detenuta. E poi c’è un altro tema».

Quale?

«Nell’80% dei casi a suicidarsi sono giovani immigrati il cui percorso si adattamento e inserimento nel nostro contesto sociale è fallito. In carcere ci si ammazza perché si è consapevoli del fatto di avere poco o nulla al di fuori di quel perimetro. E questo succede anche a causa di una legislazione che, per esempio, impedisce a una comunità di recupero di prendere in carico una persona che viva irregolarmente sul territorio italiano. Il risultato è che i detenuti si suicidano spesso in prossimità dell’uscita, perché consapevoli di non avere un futuro “fuori”, o all’ingresso del carcere, perché incapaci di reggere la distanza siderale che “dentro” si apre tra viventi e morti viventi».

Intanto il governo Meloni istituisce nuovi reati: quanto incide questa linea securitaria?

«C’è una ferocia di destra, dai tratti securitari, e una ferocia di sinistra, moraleggiante e indirizzata prevalentemente ai colletti bianchi. Ma sempre di ferocia si tratta. Questa implementazione dei reati ha un impatto soprattutto sui minori non accompagnati che giungono nel nostro Paese. Se a 12enni che hanno lasciato la famiglia e affrontato il viaggio della speranza offriamo soltanto comunità e servizi dai caratteri quasi ottocenteschi e un sistema carcerario come quello al quale siamo abituati, è difficile pretendere da loro l’osservanza della legge. Bisognerebbe dare vita a una grande infrastruttura, capace di incidere su scuola, formazione, lavoro e affetti, per trasformare quei giovani in cittadini e lavoratori consapevoli. Invece ci si ostina a rispondere alla devianza istituendo altri reati: è una strategia ipocrita e stupida, quasi una “soluzione finale” per liberarci di un fardello pesante per la sicurezza pubblica. Noi non vogliamo vedere quei ragazzi “difficili”, non riusciamo a rimpatriarli, loro non voglio soffrire e così lasciamo che si ammazzino: c’è un elemento di cattivismo politico-elettorale in tutto questo».

La liberazione anticipata speciale più essere la soluzione?

«Quella di Giachetti è un “indultino”, una proposta non risolutiva. Ciò che serve è riconsiderare il ruolo del carcere nella legislazione penale, prevedendo la detenzione soltanto nei casi in cui essa sia indispensabile per proteggere l’incolumità pubblica. E poi i penitenziari vanno trasformati: non possono essere il luogo in cui concentriamo tutto il male al solo scopo di non vederlo più».

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