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Parla Elsa Fornero: «Lavorare più a lungo è indispensabile. Fitto? Va sostenuto» – L’INTERVISTA

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Lavorare più a lungo e approvare lo ius scholae sono misure indispensabili per evitare che il sistema pensionistico italiano salti. Con buona pace del vicepremier Matteo Salvini, che spinge per estendere Quota 41 a tutti i lavoratori, e del resto del governo Meloni, a caccia di coperture in vista della prossima manovra finanziaria. L’economista Elsa Fornero, ieri ospite della rassegna Lectorinfabula a Conversano, lo dice forte e chiaro, noncurante di quell’etichetta di “cattiva” attaccatale addosso dagli avversari all’indomani dell’approvazione della riforma del sistema pensionistico che porta il suo nome: era dicembre 2011, il governo Monti tentava di salvare il Paese dal crac e le lacrime dell’allora ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, chiamata a illustrare i sacrifici imposti agli italiani, fecero il giro del mondo.

Professoressa, una domanda personale: le pesa essere additata come “cattiva”?

«Ho sofferto per quella descrizione, frutto di cattiva politica e di leader che hanno in animo soltanto il consenso e non riflettono sulle conseguenze del linguaggio violento. In seguito, però, molti hanno capito. D’altra parte Lincoln insegna: è possibile ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non tutti per sempre».

Veniamo all’attualità: secondo la Cgia di Mestre, al Sud si pagano più pensioni che stipendi. In particolare, quella di Lecce è la provincia col saldo peggiore: che vuol dire?

«Chi lavora, produce reddito; chi è in pensione, riceve soldi che sono in parte prodotti da chi lavora; quindi chi lavora deve provvedere a sé e a chi non lavora più. Alla lunga la situazione diventa insostenibile: è il frutto di errori del passato che hanno incoraggiato i pensionamenti anticipati. Ecco perché è indispensabile un aumento dell’età pensionabile per salvare il futuro dei nostri figli».

A proposito di figli, Forza Italia e il centrosinistra spingono per attribuire la cittadinanza ai bambini stranieri che abbiano frequentato uno o più cicli scolastici nel nostro Paese: è la risposta giusta all’invecchiamento della popolazione e alla crisi del sistema pensionistico?

«Lo ius scholae è innanzitutto questione di giustizia. È giusto far sentire “diversi” bambini che magari nascono e crescono in Italia? A mio parere no. E poi l’inserimento di un certo numero di immigrati nella nostra società è necessario: se si integrano, sono produttivi. Non è vero che portano via il lavoro agli italiani. Quindi la risposta è sì, lo ius scholae è certamente un aiuto sebbene, da sola, l’immigrazione non possa sostenere un sistema pensionistico traballante».
Intanto il Governo che si divide sullo ius scholae è lo stesso che ha varato i decreti Flussi dalle maglie più larghe per far affluire in Italia un maggior numero di immigrati regolari…
«È una contraddizione, una delle tante alle quali il governo Meloni ci ha abituato. Il no allo ius scholae, per esempio, è propaganda e stride con i decreti Flussi, risposta che l’Esecutivo dà obtorto collo alle esigenze di personale delle imprese. Altra contraddizione è sull’Europa: qualcuno, nel governo, dice no all’Unione, però firma i trattati e si allinea a ciò che la stessa Unione fa; altri volevano addirittura uscire dall’euro, ma adesso accettano l’aiuto che l’Unione ci dà con misure come il Pnrr».

A proposito di Europa, a rappresentare l’Italia nella nuova commissione sarà Raffaele Fitto: che ne pensa?

«È un politico democristiano. Conosce bene i meccanismi del consenso, ma non si abbassa al livello dei populisti, che promettono ciò che non possono mantenere, e dei sovranisti, che sfruttano le paure dell’elettorato. Fitto è realista, preparato, una persona perbene peraltro uscita indenne da vicende giudiziarie. Per il centrosinistra sarà difficile non sostenere uno come lui in Europa».

Fitto si è occupato di coesione in Italia, da ministro, e farà altrettanto in Europa, da commissario: su questo tema, come giudica l’autonomia differenziata approvata dal governo Meloni?

«Non sono certo favorevole. Sia chiaro: autonomia è sinonimo di libertà e responsabilità, ma in Italia resistono troppe disuguaglianze tra Nord e Sud perché il regionalismo differenziato possa essere considerato un rimedio. E poi non è vero che non costerà: se il Nord non paga parte dei servizi destinati anche al Sud, quest’ultimo finisce per impoverirsi ulteriormente».

Nel frattempo, il governo Meloni si appresta a varare la manovra finanziaria: che cosa ci si deve aspettare?

«Innanzitutto la conferma della detassazione dei redditi bassi, cioè di misure in grado di garantire più soldi a persone che percepiscono retribuzioni inferiori ai 35mila euro. Quindi si parla di un aumento delle retribuzioni attraverso una diminuzione del carico fiscale, anche se a far lievitare le retribuzioni dovrebbero essere le imprese dopo aver recuperato produttività. In tema di previdenza, poi, ogni lavoratore versa il 33% della retribuzione lorda per le pensioni; di questa quota, 25 punti sono a carico del datore di lavoro e otto del lavoratore; il Governo, per chi ha redditi fino a 25mila euro, copre sette di questi ultimi otto punti, senza che la pensione ne soffra. Quindi si parla di un minor carico dei contributi sociali per la previdenza. Tutto ciò costa 15 miliardi che, però, non ci sono e non possono essere finanziati accumlando debito. Di conseguenza, o si riduce la spesa pubblica o si aumentano le tasse. Non c’è molto margine di manovra, anche perché sarebbero da finanziare anche numerose misure in tema di sanità e scuola. E il ministro Giancarlo Giorgetti lo sa».

Eppure il ministro Salvini vuole estendere Quota 41, consentendo a tutti di andare in pensione dopo 41 anni di contributi: possibile?

«Salvini non è credibile. E, allo stesso modo, non è credibile la storia in base alla quale occorre mandare in pensione gli anziani per far lavorare i giovani. In un Paese con 3mila miliardi di debito, alte necessità di spesa in settori come la sanità e il tasso di occupazione più basso in Europa, le donne, i giovani e le persone non più giovani ma ancora in buona salute devono lavorare. Certo, chi svolge mansioni usuranti deve andare in pensione prima. Ma questo non può essere un diritto generalizzato perché il suo costo ricade puntualmente sulle generazioni future, come in passato è avvenuto per le baby-pensioni. Come fa Salvini a ragionare ancora per slogan come Quota 41 o Quota 100?».

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