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Venticinque anni dalla morte di Pinuccio Tatarella, la nipote Annalisa: «Un vulcano in continua eruzione»

A venticinque anni dalla scomparsa di Pinuccio Tatarella, colonna della storia della politica nazionale, vissuto tra Cerignola e Bari, a ricordarlo con affetto è sua nipote, Annalisa, figlia del fratello Salvatore, altro nome di spicco della destra italiana. «Un vulcano, lo definisce la nipote, che ripercorre il rapporto tra Pinuccio e Salvatore, e quello di Pinuccio e i nipoti. «Un bambino – racconta – che, quando arrivava, amava suonare il citofono per lunghi minuti».

Dottoressa Tatarella, Pinuccio era conosciuto da tutti come il ministro dell’armonia. Lui stesso amava definirsi in questo modo. Ci potrebbe dire com’era, invece, in famiglia?

«Un vulcano in continua eruzione».

Anche suo padre Salvatore è stato un pezzo fondamentale della storia della destra di questo Paese. Com’era il rapporto tra i due? Chi dava consigli a chi?

«Era un rapporto filiale, affettuoso e d’intesa intellettuale. Si capivano al volo e si amavano moltissimo. C’era una grande fiducia reciproca. Distanti solo geograficamente perché zio si trasferì a Bari all’età di 18 anni, quando mio padre ne aveva solo 6, e anagraficamente: tra loro c’era una differenza di età di 12 anni. Per mio padre è stato anche una figura paterna poiché mio nonno, sfortunatamente, si ammalò di sclerosi multipla molto presto».

Nei confronti di voi nipoti, invece, come amava rapportarsi Pinuccio?

«Come un bambino. Per noi era l’amico di giochi, non uno “zio famoso”. Era sempre una festa. Non avvisava mai prima del suo arrivo a Cerignola, all’epoca abitavamo ancora lì. Amava le sorprese, soprattutto farle. Capivamo che era lui dal suono del citofono. Premeva il pulsante per lunghi minuti, anche dopo avergli risposto. E subito dopo la casa era a soqquadro».

Cosa amava e odiava più di tutto suo zio?

«Amava le persone sincere, volitive, coraggiose. Era incapace di odiare. Evitava il superfluo».

Suo zio era conosciuto anche per essere, come si dice dalle nostre parti, uno alla mano. Questo rapporto diretto e senza filtri che aveva con la gente, gli è mai pesato?

«No, anzi. Lui era così: “invadente e invasivo”. Era impossibile ignorarlo».

A 25 anni dalla sua scomparsa, qual è l’insegnamento che suo zio e suo padre lasciano al Paese?

«La passione, la coerenza, la dedizione. Hanno dedicato la loro vita alla politica, senza dimenticare la loro terra e le loro umili origini. Per questo non sono mai stati dimenticati».

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