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In Puglia e Basilicata i redditi battono i rincari: a trainare le cifre sono i liberi professionisti

La crescita dei redditi degli italiani nel 2023 è annullata dall’inflazione ma Puglia (150 euro in più in cinque anni) e Basilicata (2.900 euro) sono tra le poche regioni in cui gli stipendi battono i rincari. È quanto emerge da elaborazioni sui redditi delle famiglie e sull’occupazione effettuate da Cer e Ufficio Economico Confesercenti sulla base dei dati disponibili Istat, a quattro anni dall’annuncio del lockdown del 9 marzo 2020.

Ad arginare il calo del reddito medio delle famiglie italiane, la crescita del dato relativo al lavoro autonomo – professionisti, imprenditori, partite Iva – che, al netto dell’inflazione, nel 2023 supera i 43.600 euro, quasi 1.600 euro in più rispetto al 2019. Variazione positiva anche per il reddito derivato da altre fonti, voce che include i redditi da capitale, da patrimoni, da rendite finanziarie etc., che cresce di 1.178 euro rispetto a cinque anni fa. a perdita del potere d’acquisto da parte delle famiglie italiane è eclatante, così come l’impatto sui redditi. Se il Mezzogiorno, per una volta, può sorridere rispetto al resto del Paese, con un impatto meno pesante dei rincari sui redditi (già ridotti all’osso), il dato nazionale mostra i tanti passi indietro dei lavoratori. Una perdita che, in tutto, arriva a sfiorare, secondo i calcoli di Confesercenti, i sei miliardi di euro rispetto al 2019.

«Il calo del reddito medio rilevato a livello nazionale è la sintesi di tendenze territoriali molto diverse tra loro», si legge nel report. «Per le famiglie di sette regioni, il bilancio è positivo, prevalentemente a Nord: a registrare un aumento del reddito medio in termini reali rispetto al 2019 sono infatti Valle d’Aosta (+2.951 euro, l’incremento più alto), Lombardia (+1.930 euro), le province autonome di Trento (+1.639 euro) e Bolzano (+2.237 euro), Veneto (+241 euro) e Friuli-Venezia Giulia (+483 euro)». L’ultimo posto spetta alla Calabria: il reddito medio reale delle famiglie della regione nel 2023 è di poco sotto i 29mila euro l’anno, oltre 18mila euro in meno del reddito medio reale delle famiglie di Bolzano (oltre 47mila euro l’anno). Al contrario dei redditi reali, la ripartenza del lavoro non si è fermata: tra il 2019 ed il 2023, il numero di lavoratori è cresciuto costantemente ogni anno, passando da 23,1 milioni a 23,5 milioni con un aumento netto di quasi 394mila occupati.

Anche in questo caso, il dato medio nazionale cela andamenti territoriali molto differenti tra loro: a beneficiare della maggiore crescita dell’occupazione è la Puglia, che registra una variazione positiva di quasi 79mila lavoratori in cinque anni, il +6,5%. Seguono il Veneto (+75mila lavoratori, +3,5%) e la Sicilia (+59mila, +4,4%). Solo quattro regioni subiscono un declino del numero di occupati rispetto al 2019: la Sardegna (-5.900 lavoratori, pari ad una flessione del -1%, la Calabria (-9.800, -1,8%), il Molise (-2.800, -2,6%) e il Piemonte che con la perdita di oltre 15mila occupati (-0,8%) è, in termini assoluti, tocca la maglia nera nella classifica dell’occupazione degli ultimi cinque anni.

«La misurazione dei livelli di reddito ‘reali’ dei cittadini è, a nostro parere, essenziale per valutare non solo lo stato di salute, ma anche quello di ‘benessere’ della nostra economia. Mutuando un termine medico, potremmo definirli un ‘marker’ fondamentale, da mantenere costantemente sotto controllo. Anche perché sono i redditi reali a determinare la capacità di spesa delle famiglie, e i consumi contribuiscono per oltre il 58% alla formazione del nostro prodotto interno lordo», commenta Confesercenti. Tutti aspetti su cui l’associazione degli esercenti invita a riflettere, guardando al futuro. «Soprattutto in una fase come quella attuale, in cui fattori di perturbazione di origine globale rallentano il contributo di esportazioni e investimenti, lo sviluppo economico del nostro Paese non può prescindere dalla rivitalizzazione dei redditi e quindi dei consumi. L’ultima manovra di bilancio si è concentrata proprio su questo fronte, con effetti positivi: secondo le nostre stime, taglio del cuneo e rimodulazione delle aliquote fiscali Irpef dovrebbero infatti generare quest’anno una spinta di +5,6 miliardi di euro alla spesa delle famiglie, più della metà della crescita complessiva dei consumi prevista per il 2024 (+10,9 miliardi di euro). Per questo, riteniamo importante iniziare a considerare già ora come reperire le risorse che consentano di rendere permanente la riduzione del cuneo contributivo. Sarebbe auspicabile anche un’accelerazione della riforma fiscale: necessario, in particolare, detassare gli aumenti retributivi. Un intervento che darebbe una mano alla contrattazione tra le parti sociali e permetterebbe alle famiglie di recuperare più velocemente il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione, conclude Confesercenti.

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