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Lo spettro dei razionamenti su famiglie, scuole e imprese: «Non c’è tempo da perdere»

Preoccupa l’aumento del prezzo del gas soprattutto in vista dell’autunno. Il record storico di 341 euro per megawattora evidenzia una situazione complessa che il Governo uscente, malgrado sia in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, dovrà quantomeno affrontare. Il tema non è stato sottovalutato neanche fuori dai confini nazionali: a quanto pare è previsto che l’Unione europea convochi entro metà settembre un Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia per affrontare l’emergenza. È ormai evidente che non è solo una questione di prezzo ma soprattutto di forniture: l’anno scorso i russi hanno esportato in Europa 150 miliardi di metri cubi di gas, mentre quest’anno le forniture saranno meno di un terzo.

Per ora l’idea dei razionamenti o di imposizioni sui consumi domestici è ancora molto lontana. Sicuramente verranno avviate campagne di sensibilizzazione per i cittadini per suggerire attenzione nei consumi giornalieri. Tuttavia, se il prezzo del metano dovesse continuare a crescere, il rischio che alcune famiglie non riusciranno più a pagare le bollette e quindi a garantirsi la luce e il riscaldamento per l’intera giornata nei mesi invernali diventerebbe sempre più concreto. Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori (Unc), «è evidente che le misure del Dl Aiuti bis sono del tutto inadeguate. Non basta più azzerare gli oneri di sistema ma anche l’Iva, sia della luce, oggi al 10%, sia del gas, oggi al 5. Inoltre va rinviata la scadenza del mercato tutelato del gas prevista per il primo gennaio 2023, allineandola a quella della luce, programmata per il 10 gennaio 2024. Sarebbe un suicidio non farlo in questo contesto».

Stesso discorso potrebbe essere necessario per le aziende che più volte hanno minacciato di fermare o rallentare la produzione come già fatto a inizio anno da Farris Srl, industria alimentare foggiana specializzata nella trasformazione di ortaggi locali in disidratati. L’azienda di Orsara di Puglia ha spento i macchinari per sei mesi, mettendo in cassa integrazione i dipendenti, e ha dichiarato, tramite il suo amministratore delegato Giorgio Mercuri, che «l’aumento del prezzo del gas, al quale bisogna aggiungere l’aumento dei costi di altre materie prime indispensabili nella produzione industriale, ci toglie competitività».

Un altro nodo da sciogliere sarà il riscaldamento delle scuole. A tal proposito Roberto Romito, presidente regionale dell’Associazione nazionale presidi di Puglia spiega che «al momento siamo in attesa delle direttive degli enti locali che provvedono a questo tipo di spese in quanto proprietari degli istituti. Saranno chiamati in causa quindi i comuni per le scuole del primo ciclo e le province per quelle del secondo per avviare una politica di risparmio anche in base a quanto deciderà il Governo centrale. L’unica cosa che possono fare le scuole è orientarsi verso la settimana corta per avere cinque giorni di riscaldamento su sette anziché sei su sette. Questo avrà bisogno di un coordinamento concreto con gli enti locali per la gestione degli orari dei trasporti degli studenti. Tutto dovrà integrarsi perfettamente con le norme di buona condotta definite per gli istituti scolastici che, per prevenire i contagi, hanno definito la necessità di arieggiare costantemente le classi tenendo le finestre semi aperte».

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