Home Diritto & Economia Abuso d’ufficio, perché abolirlo: «Le amministrazioni sono condizionate dalla paura della firma»

Abuso d’ufficio, perché abolirlo: «Le amministrazioni sono condizionate dalla paura della firma»

Se la magistratura applicasse la legge in modo fedele al testo e l’archiviazione di denunce infondate fosse immediata, la presenza dell’abuso d’ufficio sarebbe sacrosanta.

È inopportuno generalizzare, ma occorre ammettere senza infingimenti e riverenze come, salvo eccezioni, che, in quanto tali, risaltano, di regola la Giustizia non venga gestita in modo virtuoso.

Un sistema dove l’amministrazione pubblica non brilla per efficienza e la burocrazia si mostra spesso svogliata e intimidata dalla paura della firma, non può permettersi figure di reato che acuiscono questi fenomeni, senza neanche rivelarsi indispensabili per la tenuta dell’ordinamento, anzi.

Scelte che sembrano irrazionali su un piano giuridico, diventano ragionevoli se inquadrate in un’ottica generale, considerando come il malfunzionamento dell’amministrazione giudiziaria faccia sì che l’abuso d’ufficio determini maggiori costi che benefici per il paese nel suo complesso.

L’art. 323 c.p., nonostante gli sforzi per precisarne il contenuto, è stato spesso soggetto a letture forzate che hanno, di fatto, neutralizzato gli interventi del legislatore.

Nella prassi, infatti, si sono individuati efficaci grimaldelli argomentativi per eludere le indicazioni impartite dal legislatore, che hanno consentito di continuare a procedere per abuso d’ufficio a buon ritmo (nel 2016 le iscrizioni erano circa 8000, nel 2021 oltre 4800).

Al di là dello scarso numero di condanne, l’interventismo delle Procure costituisce vera pena, essendo la sola iscrizione sul registro degli indagati, con annesse campagne mediatiche, foriera di danni irreversibili.

Il nostro è un paese contaminato dal germe patogeno del populismo giudiziario, refrattario alla presunzione d’innocenza, dove politica e alta amministrazione faticano a recuperare consapevolezza del loro ruolo, intimidite dalla forza micidiale, capace di esiti esiziali, sprigionata dal perverso, spaventoso e smisurato intreccio di potere generato dagli incestuosi rapporti tra stampa e addetti ai procedimenti penali.

Una Giustizia Giusta, con archiviazioni immediate (sovente l’infondatezza della denuncia è palese), che non giochi di sponda con media compiacenti per prosaici interessi commerciali più che per ragioni ideali (pubblicare atti giudiziari ricevuti stando seduti alla scrivania squalifica la professione del giornalista, il quale, invece, dovrebbe nobilitarsi impegnandosi in vere inchieste), risolverebbe il problema alla base.

Da noi i fascicoli – senza cura per i destini e le sofferenze altrui-, vengono archiviati dopo anni, con effetti deterrenti non solo per il pubblico agente coinvolto ma anche per i colleghi.

Interi uffici si paralizzano.

A fronte di pochi casi meritevoli di tutela (18 condanne nel 2021), lo squilibrio complessivo che determina l’abuso d’ufficio in un apparato inefficiente ne rende preferibile l’eliminazione.

Insigni studiosi hanno inoltre dimostrato che l’abuso d’ufficio non è imposto da vincoli sovranazionali.
Basta che l’ordinamento sia dotato di rimedi effettivi avverso le irregolarità dell’azione amministrativa: la possibilità di ricorrere al Tar per chiedere l’annullamento di un concorso è sufficiente.

S’invocano lenzuolate di depenalizzazione e poi si grida allo scandalo in nome del panpenalismo ideologico.

Mirate operazioni di chirurgia normativa, finalizzate a rimuovere figure di reato idonee a provocare più danni che vantaggi in un paese dove si assiste da decenni ad uno straripamento dell’ordine giudiziario, devono essere salutate con favore dai fautori di un diritto penale come extrema ratio.

Il diritto penale è risorsa limitata, con enormi costi sociali e umani: va riservato a pochi casi davvero degni.
Non vogliamo poi credere che la magistratura si macchi di deliberati abusi, contestando altri reati (corruzione, turbativa d’asta ecc.) in assenza dei presupposti pur di procedere.

Sarebbe il segnale di una grave patologia (già censurata dalla Cassazione con riferimento alla turbativa d’asta), che, ovviamente, non può condizionare il legislatore, ma che dovrebbe essere stigmatizzata e sanzionata dal Csm.

Non sarà la panacea di tutti mali, ma una magistratura rispettosa di democratiche scelte parlamentari e più produttiva, forgerebbe un sistema capace di autocorreggersi, rendendo inutili e ingiusti tanti interventi, come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio.

Speriamo quindi che i decreti attuativi sulle valutazioni dei magistrati (spariti da tempo dai radar) escano quanto prima dalle stanze del Ministero.

Nicola Madìa è avvocato abilitato alle funzioni di professore associato di Diritto Penale

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