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Dalla parte di quelli che si indignano

Qualche giorno fa ho scritto un post su Facebook a proposito dell’aumento vertiginoso dei prezzi da parte delle strutture ricettive in Puglia: non voleva essere un manifesto ideologico, si trattava più di uno sfogo personale, ma evidentemente il tema è caldissimo e ha raccolto tutta la rabbia dei turisti che subiscono da qualche anno listini sempre più alti.

Altrettanto calorosa è stata l’accoglienza del post da parte dei campanilisti che si sono sentiti offesi da questa cattiva pubblicità. Come se fossi io ad allontanare i turisti e non, invece, i listini di qualche scaltro imprenditore del turismo con l’ambizione di battere i record delle tariffe. Diciamoci la verità: davvero siete disposti a giurare di non aver mai esclamato “Stiamo impazzendo?” davanti al listino prezzi di una struttura ricettiva in Puglia? Ve lo dico io: no.

Avete ragione quando dite che si può sempre decidere di girare i tacchi e andare altrove, ma non è un buon motivo per farci andare bene una situazione fuori controllo che fa più male che bene alla nostra regione. Siamo d’accordo, al di fuori dei confini della Puglia non è che se la passino meglio: in questi giorni l’argomento infiamma tanti dibattiti in tv.

Ci sono diverse località blasonate che spesso costano meno della Puglia, ma non è che si riesca a godersele con due spicci, quindi il problema è davvero diffuso e sta investendo anche regioni che tutto sommato non si sono mai distinte per prezzi vertiginosi. Quest’anno, poi, la cosa sta assumendo i contorni del grottesco e voglio pensare che il taglio del tramezzino a pagamento sia un’operazione di marketing, perché non si può ritenere normale né si può venderla come conseguenza dell’inflazione, delle bollette, degli stipendi.

Suvvia, siamo onesti. Alla fine lamentarsi della fuga all’estero degli italiani mi sembra fuori luogo. Non si stanno rinnegando le radici o disprezzando la propria terra, ma si sta semplicemente comunicando agli imprenditori nostrani che del turismo di prossimità devono fare a meno se il target di riferimento deve essere quello degli americani che sono disposti a pagare cifre folli per una notte in b&b nel centro storico. Sono un’agente di viaggi e ho a che fare tutti i giorni con i numeri delle vacanze: gli italiani quando possono restano in Italia, ma se i prezzi sono fuori dal budget, preferiscono valutare altre opzioni altrettanto valide. Non lo fanno perché fanno i capricci o sia stata avviata una campagna di diffamazione nei confronti dell’Italia o perché si vogliano vendicare degli imprenditori del turismo italiani.

La fuga all’estero non è una risposta ideologica all’aumento dei prezzi: gli italiani vanno all’estero perché sgombrano il campo agli stranieri che piacciono tanto perché pagano senza fiatare, perché è stata venduta l’idea di un’Italia spaventosamente cara che possono permettersi solo i turisti che fanno vacanze di lusso. Insomma, gli italiani fanno esattamente quello che suggerite di fare davanti a un listino troppo alto: girano i tacchi e vanno altrove. A rimetterci, però, non è solo il turismo interno: a rimetterci sono anche gli imprenditori che offrono ottimi servizi a prezzi onesti e che pagano lo scotto di uno stigma affibbiato loro malgrado, perché il detto “non si fa di tutta l’erba un fascio”, vi svelo un segreto, non importa a nessuno.

Il vacanziero non vuole scardinare convinzioni, si accontenta di quello che trova e porta all’estero quello che ha vissuto e se ha incontrato l’imprenditore sbagliato, a casa porterà quella testimonianza, non i sondaggi raccolti sotto gli ombrelloni. Perciò, sì, se l’idea è quella di dividersi in due curve opposte come se fossimo allo stadio, sono orgogliosamente dalla parte di chi si indigna, perché di questo passo saremo noi italiani a essere stranieri nella nostra terra, proprio perché l’avremo svenduta a qualche speculatore stagionale. E allora sì che avremo di che vergognarci.

Mariolina Curci – Agente di viaggio

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