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Locomotiva? Un modello da superare

Che in Italia sia necessario un nuovo modello di sviluppo, è chiaro a tutti. Ne sono consapevoli politica, sindacati e altre istituzioni. Ciò che appare meno condivisa è la necessità di superare il modello della locomotiva che considera il Nord come unico motore dell’economia nazionale e il Sud come rimorchio. Eppure l’abbandono di questa strategia è ancora più indispensabile alla luce della nota diffusa da Prometeia, dalla quale emerge un dato incontrovertibile: l’Italia non è in grado di inserire nel mercato del lavoro tutte le persone che potrebbero farne parte.

Per comprenderlo basta fare un raffronto con altre realtà europee. Se in Italia risultano occupati circa 25 milioni di persone su 59 di abitanti, in Francia gli occupati sono poco meno di 30 milioni e mezzo a fronte di una popolazione di 68. Per non parlare della Germania, dove i lavoratori ammontano a 46 milioni su quasi 85 di residenti.

Nel nostro Paese, dunque, la quota degli occupati è nettamente inferiore alla metà della popolazione residente, a differenza di quanto avviene nelle vicine Francia e Germania. Ed è proprio su questo dato che bisogna interrogarsi: com’è possibile una performance così deludente? Le spiegazioni sono molteplici.

Come anche Pietro Massimo Busetta ha osservato dalle colonne del “Quotidiano del Sud”, la prima causa è la presenza di centinaia di migliaia di donne fuori dal mercato del lavoro, soprattutto nel Sud. E infatti, da Roma in giù, il tasso di occupazione femminile è di poco superiore al 34%: questo significa che, nella fascia tra 15 e 64 anni d’età, lavora soltanto una donna su tre. Colpa di una domanda di manodopera ancora troppo bassa, certo, ma anche e soprattutto della mancanza di servizi e strutture come gli asili nido che impedisce alle donne di conciliare incombenze familiari ed eventuali impegni professionali. E poi c’è il tema dei Neet, cioè dei giovani tra 15 e 29 anni che non studiano né lavorano né sono inseriti in programmi formativi: mentre la media europea si attesta al 15%, questo valore raggiunge addirittura il 39% nel Mezzogiorno con la Puglia che sfiora il 31. Che cosa vuol dire? Che la scuola e, più in generale, il sistema della formazione non riescono a intercettare questa cospicua fetta della popolazione che diversamente rischia di andare a infoltire i ranghi della criminalità organizzata. Non va sottovalutato, infine, un altro tema e cioè quello di coloro che preferiscono rimanere al di fuori del mercato del lavoro ritenendo gli orari eccessivi e le retribuzioni troppo modeste.

Tutto ciò dimostra come il modello di sviluppo basato sul Nord che traina il Sud, sul Nord che cresce e sul Sud che arranca, sul Nord che nutre ambizioni e sul Sud che elemosina, debba essere urgentemente cambiato. Come? Magari seguendo l’esempio della Spagna che non perde occasione di “mettere in vetrina” Valencia, Siviglia e Granada. O anche quello della Germania, dove dal 2027 sarà Dresda la sede del primo grande impianto europeo per la produzione di chip. In questo senso, proporre Taranto come location dei Giochi del Mediterraneo del 2026 è un’iniziativa meritoria, ma che non può e non deve restare isolata. Destinare al Sud impianti industriali o grandi eventi sportivi è non solo la chiave per rilanciare lo sviluppo economico-sociale del Mezzogiorno, ma anche per formare una classe dirigente nuova, strutturata, all’altezza delle sfide del futuro. È anche questo che sostiene la Svimez quando sottolinea la necessità di un’Italia non più trainata dalla locomotiva settentrionale, ma alimentata da due motori come Nord e Sud. Ed è su questa strada che il Paese dovrebbe finalmente incamminarsi.

Raffaele Tovino – dg Anap

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