Home Editoriali Sangiuliano insegna: basta col familismo amorale

Sangiuliano insegna: basta col familismo amorale

Se provate a digitare su un qualsiasi motore di ricerca “San Giuliano Santo”, rimarrete sorpresi dal numero di santi che portano questo nome e che hanno, naturalmente, provenienza diversa per città e nazioni: da San Giuliano da Toledo a San Giuliano da Le Mans e San Giuliano da Sora e così via. Ma quel che vi sorprenderà di più e ciò che li accomuna, e cioè: il martirio.

Ora, se questa fosse l’aspirazione del nostro ormai ex ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, non è dato sapere. Anche perché è martire chi “si sacrifica volontariamente, con piena coscienza delle pene e dei pericoli cui va incontro (e fino a qui ci siamo)”. Ma per cosa? Per un motivo religioso (non è il caso nostro), per un alto ideale (anche qui non fa al caso nostro), per una generosa causa (qui, forzando la mano, potremmo rientrarci). La domanda è: possiamo ritenere la procace dottoressa Boccia una giusta causa? Non lo so. Ma così deve averla ritenuta Sangiuliano.

Che Genny fosse inadeguato al ruolo lo hanno dimostrato due anni di gaffe che avrebbero creato imbarazzo persino a uno studente delle medie. Ma che Sangiuliano potesse trasformare le istituzioni del Paese in un luogo d’appuntamento, pochi sarebbero stati disposti a crederlo. Travolto dallo scandalo, il ministro ha dovuto dimettersi.

Quel che resta del Ministero della Cultura così vilipeso, è un quadro imbarazzante su come una istituzione pubblica possa essere utilizzata per miserrimi fini privati. Infatti, lasciamo perdere la vicenda scandalistica della “liaison” tra il ministro e la signora Boccia, quel che maggiormente preoccupa o, dovrebbe preoccupare, è quello che di questa storia non ci hanno ancora raccontato: il funzionamento del Ministero nel suo insieme, quindi funzionari, capi di gabinetto, segretari particolari e non, direttori, direttori generali e chi ne ha più ne metta, rispetto a nomine e incarichi. Parliamo del famoso “familismo amorale” del quale questo Governo pare essere, tremendamente, affetto. Il presidente del Consiglio non può più far finta di niente: deve spiegare al Paese cosa intende fare. Passare da Genny a Giuli, non ci pare una grande trovata, per la semplice ragione che, come direbbe il buon Di Pietro, “che ci azzeccano con la Cultura”? Se io dovessi pensare a un ministro della Cultura di area, mi verrebbero in mente nomi come Marcello Veneziani, Luca Ricolfi, uomini di cultura appunto.

Ma poi, chi l’ha detto che i ministri devono essere per forza di destra? Chi fa il ministro dovrebbe (e sottolineo dovrebbe) rendere un servizio al Paese, non al partito. Già a uscire da questa devastante logica faremmo un grandioso salto di qualità. Chi impediva alla Meloni di nominare Massimo Cacciari? Nessuno. Non lo ha fatto perché è figlia di questo sistema marcio che sta buttando il Paese nel più totale disdoro. Siamo a pochi giorni dal G7 della Cultura, che tocca all’Italia organizzare. Ci arriviamo sulla grancassa di questo scandalo e, quindi, “con le pezze al culo”. Non sarebbe male aprire i lavori di questo G7 con la proiezione di un cortometraggio dove si vede un signore di fatture simili al nostro Sangiuliano, che mette degli occhiali da sole, indossa un casco e parte con uno scooter per andare a prendere l’amante.

Il signore in oggetto si chiamava Francoise Hollande, presidente della Repubblica Francese, che per vivere la sua storia d’amore, non ha coinvolto palazzi istituzionali né scorte né auto di servizio. Come dire: altra cultura, altro stile, altra classe.

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