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La sicurezza secondo il ministro

(foto Ansa / Carconi)

Il neo-ministro della Giustizia, Carlo Nordio, oltre a essere stato un autorevole magistrato, è, come si dice, una “buona penna”. Le pubblicazioni al suo attivo sono molteplici. Articoli, saggi brevi, volumi. L’ultimo, in ordine di tempo, discute di quelli che, ad avviso dell’autore, sarebbero i “frutti avvelenati” dell’“indulgenza”. La riflessione muove da un interrogativo scarno ma essenziale: «Dei tre valori fondanti di una società – la libertà, la sicurezza e la giustizia – qual è il più importante?». La sicurezza. Nordio, non ha dubbi.

La sicurezza viene prima di tutto, perché – la citazione è pressoché testuale – un Paese può sopravvivere senza libertà e giustizia ma non senza sicurezza. A prescindere dalle esperienze di dittature e totalitarismi, l’autore evidenzia che anche nelle democrazie occidentali dopo le ondate del terrorismo islamico, in nome di istanze securitarie, sono state sacrificate, sia pure in via provvisoria, quote significative di libertà e garanzie. Anche il successivo sviluppo della riflessione procede da una domanda: qual è, e come è stato esercitato, il ruolo delle istituzioni nell’affrontare questa gerarchia? Male, è la risposta perché lo Stato non ha saputo intercettare le istanze dalla società sulle questioni dell’economia e della sicurezza, della corruzione, della microcriminalità e dell’immigrazione controllata. Male, ma perché? Per la «sostanziale indulgenza» che il neo-ministro illustra spiegando che la paura dei cittadini non è affatto correlata alla gravità dei crimini quanto alla probabilità che si verifichi un delitto, suscettibile di aggredire il tessuto quotidiano dei più. Il terrorismo, la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale agitano la coscienza collettiva ma non turbano i sonni dei consociati. Sono i furti in appartamento, gli scippi, lo spaccio sempre più endemico di sostanze stupefacenti le vere cause di insonnia, nonostante le statistiche registrino una costante flessione di questa criminalità minore o microcriminalità mentre la “macrocriminalità” aumenta. Per ridurre questa forbice «lo Stato ha trasferito una massa imponente di risorse dalla lotta all’una a quella all’altra», ma gli effetti di queste politiche – sostiene Nordio – sono stati disastrosi: il maestoso apparato di regole minori volte, come quelle in materia di trasparenza, a prevenire la commissione dei reati economico-finanziari, avrebbe paralizzato l’azione di governo a ogni livello perché gli amministratori locali e non hanno paura di finire nelle maglie della giustizia penale o erariale anche per una violazione formale; mafie, corruzione e altre illegalità gravi proliferano come prima, ma nel contempo «questa enfatizzazione della macrocriminalità ha ridotto al minimo i mezzi per combattere i reati cosiddetti di strada»: quelli che allarmano maggiormente i cittadini. Che fare quindi? Secondo Nordio bisogna seguire l’esempio degli Stati Uniti dove i processi sono rapidi, la galera si sconta fino all’ultimo giorno, il numero di crimini e detenuti è, in percentuale, molto maggiore del nostro, eppure la maggioranza è convinta che «il sistema funzioni» perché la certezza della pena, «benché insufficiente a diminuire i reati, serve a rassicurare le persone». A questo – conclude il guardasigilli – serve una sanzione «ragionevole e immediata». Non certo a far soffrire il condannato, «che probabilmente starà meglio in carcere che a casa sua» e nemmeno a impedire che commetta nuovi reati. Serve “solo” (ndr) a evitare che «lo Stato perda credibilità» e che il cittadino «si senta abbandonato» e «preso in giro».

Giuseppe Losappio è avvocato e professore di Diritto penale presso l’Università di Bari

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