Home Editoriali Una pedagogia dei social per evitare nuove forme di totalitarismo

Una pedagogia dei social per evitare nuove forme di totalitarismo

Maneggiare con cura. Tenere lontano dalla portata dei minori. Leggere attentamente le avvertenze prima dell’uso. Possibili effetti indesiderati in taluni soggetti. Così come nei libretti di istruzioni per il montaggio fai da te dei mobili componibili o di altre attrezzature o come nei bugiardini per pomate, sciroppi e pillole varie, anche sulle piattaforme social dovrebbe esserci in bella evidenza una sezione per ricordarci che tutto ciò che pubblichiamo rimane alla mercé di tutti.

Un post non finisce mai nel cestino, nel cassone che teniamo in soffitta e che nessuno può aprire senza il nostro permesso. Il post è sempre lì, sottotraccia, in agguato pronto a ritornare in vita per altri fini e per altre mani per ricordarci tutte le nostre fragilità, debolezze e i nostri istinti più primordiali. Questa volta, l’effetto boomerang l’ha pagato a caro prezzo Carlotta Nonnis Marzano che il sindaco di Bari, Vito Leccese, aveva nominato assessora al Clima e alla Transizione ecologica, in quota Alleanza Verdi Sinistra. Nonnis Marzano non ha fatto neanche in tempo a prendere possesso del suo ufficio a Palazzo di città che ha dovuto rinunciare all’incarico, perché a poche ore dalla sua presentazione si è innescata sui social un’aspra battaglia a base di screenshot, cioè di foto che riprendevano alcuni dei post pubblicati in passato dalla neo-assessora contro diverse personalità politiche o come quello contro il Papa.

È partita quindi con la solita velocità e con toni sempre più duri la carovana della delegittimazione che ha poi indotto il primo cittadino barese a fare retromarcia e trovare la via di uscita diplomatica della rinuncia alle deleghe da parte della stessa Nonnis Marzano.

Ciò che è successo a Bari però è solo l’ultimo dei molti episodi in cui la nostra presenza e la nostra identità digitale, paradossalmente, ci si può ritorcere contro. Nonnis Marzano non è stata la prima e non sarà certo l’ultima. Come non rammentare alla vigilia delle passate elezioni politiche i tweet che costarono la candidatura nel collegio plurinominale della Basilicata alla Camera e l’elezione certa in quanto capolista a Raffaele La Regina, il 29enne segretario regionale del Pd lucano che fu travolto da una serie di post in cui ironizzava sullo Stato d’Israele, mettendone in dubbio l’esistenza come nel caso degli alieni. Successivamente, la valanga virale portò alla luce anche altri commenti anti-Israele.

Molto spesso abbiamo parlato dei danni e dei guasti che le piattaforme social possono causare ai più giovani, alla dipendenza che creano negli adolescenti, cioè nelle giovani generazioni che non hanno tutti gli strumenti e la formazione per poter distinguere, per riuscire a “zavorrare” i sentimenti più viscerali, ma ancora poco si è discusso di quanto anche nelle persone che per età e per competenze dovrebbero poter tenere a freno le reazioni più tribali i social network innescano invece comportamenti davvero pericolosi. Ci vuole una pedagogia dei social che abbia tutti noi come scolari, nessuno escluso. Perché, come ricorda Antonio Palmieri in un suo illuminante volume di qualche anno fa, “Social è Responsabilità”, le piattaforme possono generare un “incremento del fanatismo e una chiusura mentale, spalancando la via ad un nuovo totalitarismo delle idee”. Postare le nostre idee e ricevere dei like può essere anche esaltante per il nostro egotismo, grazie alla scarica di dopamina che ne ricaviamo, ma ciò non deve farci dimenticare che quel pensiero galleggerà per sempre nella infosfera digitale.

NO COMMENTS

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Exit mobile version