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Salari bassi? Aumentiamo la produttività

Tutti a strapparsi i capelli dopo i dati sui salari pubblicati dall’Ocse. E a giusta ragione, se si pensa che, dal 1991 al 2022, in Italia le retribuzioni sono cresciute di un misero punto percentuale a fronte dei 32 registrati negli altri Stati membri dell’organizzazione. Uno scenario tanto sconfortante impone una seria analisi delle cause.

E le cause possono essere ricondotte sostanzialmente alla bassa produttività del nostro sistema economico: è su questo aspetto che bisogna intervenire per restituire dignità al lavoro.

Che cosa c’è, dunque, all’origine di questa bassa produttività? Innanzitutto le troppo piccole dimensioni delle imprese italiane e in particolare meridionali, che non riescono a reggere il passo dei colossi internazionali. Quelle stesse imprese, inoltre, palesano da decenni enormi difficoltà nel dotarsi di tecnologie e competenze e, a partire dalla grave crisi economica del 2008, ad accedere al credito bancario. Il contesto complessivo, poi, non aiuta: la pubblica amministrazione italiana, che dovrebbe garantire alle aziende i servizi e il supporto necessari per lo svolgimento della loro attività, è notoriamente inefficiente e rallentata da mille pastoie burocratiche.

Lo conferma l’ultimo dossier pubblicato dalla Cgia di Mestre, in base al quale il livello dei servizi offerti dalle istituzioni pubbliche nelle varie province italiane è generalmente basso, con poche eccellenze puntualmente concentrate al Nord (non a caso il podio è formato da Trento, Trieste e Treviso) e tante realtà meridionali che continuano ad arrancare (emblematico il caso di Matera che arretra di 14 posizioni piazzandosi all’84esimo posto della classifica). A incidere negativamente è il caos normativo che si registra in un Paese dove, a causa del numero eccessivo di leggi, l’unica certezza per le imprese è quella di dover affrontare estenuanti contenziosi giudiziari.

Come se ne esce, dunque? Certo, come Marco Bentivogli ha opportunamente ricordato in un’intervista resa a “Il Giornale”, la produttività va diffusa e rafforzata innanzitutto dove si crea, cioè nelle aziende. Ciò impone, prima ancora dell’introduzione del salario minimo legale, un’estensione della contrattazione collettiva e l’immediato rinnovo dei contratti collettivi scaduti ormai da decenni. In più, sono indispensabili modelli organizzativi, tecnologici e di competenze nuovi e più efficaci. Ancora, come non pensare a una rete che colleghi i centri di innovazione alle imprese? Allo stato attuale, infatti, gli scarsi fondi a disposizione sono “fagocitati” dalle università che però sono dedite alla ricerca di base; occorre, invece, finanziare i centri impegnati nella ricerca applicata e metterli in rete come fa il Fraunhofer tedesco, l’istituto pubblico che connette tra loro e al mondo delle imprese ben 75 centri di eccellenza.

In altre parole, è indispensabile una visione che alimenti competitività, concorrenza, sburocratizzazione, ricerca, sviluppo e investimenti a livello tanto europeo quanto nazionale. A meno che non si voglia condannare i lavoratori italiani, a cominciare da quelli meridionali, a un futuro fatto di disagio economico e sociale.

Raffaele Tovino – dg Anap

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